I numeri della previdenza complementare non perdonano: quando ai lavoratori si richiede di accendere una pensione di scorta, a supporto della rendita obbligatoria che otterranno a fine carriera, il livello di partecipazione fa cadere sempre le braccia. A oggi siamo al 26% (dati Covip) del totale. Ma quando si valuta il peso della presenza delle giovani generazioni under 30 su questo 26%, le cifre cadono in picchiata perché solo il 10% ha pensato di sottoscrivere una pensione complementare.
Per quale ragione?
Il dato normalmente si giustifica con la scarsa vitalità del mercato del lavoro, dato che nel nostro paese la media dei redditi non cresce da ben 15 anni, fotografando un’economia dei profitti nelle sabbie mobili. In sostanza, un po’ tutti si difendono nel dire che non si pensa alla rendita pensionistica futura perché a mala pena ci sono i soldi solo per mettere insieme il pranzo con la cena. Però questa non è esattamente la verità.
Alberto Brambilla, presidente del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale, ha ricordato due semplici dati durante la grande kermesse sul sistema del Welfare svoltasi la scorsa settimana a Milano. Il primo è l’alta percentuale di consumi mirati delle giovani generazioni al di sotto dei 30 anni, che spendono un patrimonio in cellulari e prodotti tecnologici, dimostrando che le risorse ci sono ma vengono quasi tutte dirette in un settore mordi e fuggi. Il secondo dato, già ampiamente circolato per bocca della Agenzia delle entrate, è la presenza massiccia nel nostro paese di lavoro sommerso, con un 25% della popolazione in età da lavoro che accumula reddito e non paga un solo euro di tasse. Se è ragionevole credere che il fenomeno del sommerso si concentri soprattutto sui giovani, però bisogna dir loro in modo chiaro che il lavoro nero è una scelta pericolosissima non solo dal punto di vista morale ma anche materiale. Come ha sottolineato Corrado Passera di Intesa Sanpaolo il lavoro sommerso non costa nulla nell’immediato, ma costa tantissimo in mancato risparmio pensionistico per domani. Chi evade le tasse mette da parte meno risorse per il futuro perché la pensione è il frutto di un risparmio calcolato sui redditi dichiarati. E non si può rispondere con una semplice alzata di spalle. Dovrebbe essere noto oramai a tutti, anche ai più giovani, che la pensione non ci aspetta più a fine carriera, ma siamo noi che dobbiamo andarcela a cercare mettendo i soldi da parte. Coloro che evitano il problema si comportano in modo irresponsabile, perché si privano deliberatamente di una previdenza dignitosa.
Bisogna dire che il sistema previdenziale italiano ha sicuramente una colpa, quello di essere stato preso dall’ansia di mettere i conti a posto, come ha sostenuto sempre a Milano Domenico Siniscalco di Assogestioni, compiacendosi di parlare con astrusi tecnicismi difficili da capire che hanno allontanato l’opinione pubblica in generale e, soprattutto, le fasce più giovani. D’altra parte, però, adesso si tratta di ricucire un vestito strappato, magari cercando di progettare una nuova identità e puntare sulla partecipazione degli enti di previdenza ad attività che forniscano servizi sia ai loro iscritti sia a tutta la collettività, per esempio patrocinando autentiche iniziative sociali. Questo può essere l’inizio per ricominciare a parlare di previdenza senza scuse di circostanza.