DANIELE AUTIERI
Un solo corpo ma due teste, un solo ordine professionale ma due casse previdenziali: la realtà che si consuma nel mondo dei commercialisti, ragionieri ed esperti contabili è un unicum in Italia perché, dopo il matrimonio sancito il 1° gennaio 2008 che ha unito in un solo albo le tre categorie professionali, la gestione della loro previdenza è rimasta divisa in due. Da un lato i commercialisti e dall’altro i ragionieri tenuti lontani da ideologismi, opportunità, ma soprattutto interessi.
Il primo argine è quello dei numeri: la cassa dei commercialisti ha un patrimonio di 3,8 miliardi di euro e oltre 50mila iscritti; quella dei ragionieri, 30mila iscritti e un patrimonio di 2 miliardi, di cui circa 1 miliardo investito nel settore immobiliare. Su questo si innesta il secondo elemento di frizione che riguarda la “solvibilità” degli enti, ossia la capacità finanziaria di continuare a pagare le pensioni anche tra 30 anni. In quest’ambito, mentre i commercialisti si dicono a posto, i ragionieri ammettono che il saldo previdenziale a quella data non sarà positivo, ma questo per una semplice ragione: la Cassa dei ragionieri (Cnpr) è l’unica in Italia che ha fatto un’analisi sul futuro senza prevedere l’afflusso di nuovi iscritti e quindi calcolando che il sistema dovrà reggersi sulle attuali disponibilità economiche.
«Se non si considera questo elemento – spiega il presidente della Cassa ragionieri, Paolo Saltarelli – si fa un grosso errore di valutazione. I commercialisti non dovrebbero andare a vedere la nostra sostenibilità a 30 anni, ma se siamo in grado di arrivare in fondo al pagamento dell’ultima pensione. E questo è assicurato».
Le argomentazioni del presidente non bastano per convincere i “cugini”, a tutti gli effetti separati in casa, perché lo stesso Consiglio Nazionale (l’ordine che riunisce entrambe le categorie) si trova schiacciato tra le istanze dei commercialisti, che vogliono mantenere la loro indipendenza previdenziale, e quelle dei ragionieri che cercano alleati per fare sistema e accrescere la capacità contributiva. In questa direzione va la delibera del cda della Cnpr, che ammette l’iscrizione sia di praticanti dottori commercialisti che di praticanti esperti contabili alla previdenza e all’assistenza sanitaria dei ragionieri. Con questo provvedimento i ragionieri aprono ai praticanti commercialisti e così cercano di rosicchiare quote di mercato alla cassa amica e rivale.
Del resto, sull’altra linea del fronte, quella presidiata dai commercialisti, le posizioni restano rigide e si basano su una indiscussa solidità patrimoniale e un trend di crescita degli iscritti che tra il 2009 e il 2010 sono aumentati di 2.276 unità.
«La mancata unificazione con la Cassa Ragionieri – puntualizza Walter Anedda, presidente della previdenza dei dottori commercialisti – non deriva da un fattore ideologico, ma dalle differenti condizioni di natura demografica, finanziaria e patrimoniale delle due casse. Al termine di un rigoroso percorso di verifica dei loro conti, confermiamo che non sussistono le condizioni per qualsivoglia progetto di aggregazione».
Le argomentazioni fanno leva sui numeri, che dimostrano come dal 2001 ad oggi la Cassa dei ragionieri abbia registrato un andamento negativo degli iscritti non pensionati, contrariamente a quella dei commercialisti. Quanto basta per abbassare la serranda delle opportunità, anche in funzione di un ampliamento del bacino di iscritti ad altre categorie come quella dei revisori contabili.
«A questo proposito – continua Anedda – mi rimetto alle recenti dichiarazioni del presidente del Consiglio Nazionale, Claudio Siciliotti, che ha espresso ampie riserve in merito alla commistione tra liberi professionisti iscritti a ordini e lavoratori autonomi non iscritti ad alcun ordine professionale».
Uno scenario che invece piace alla Cassa ragionieri, decisa a cercare possibili alleati altrove, tra tutte quelle categorie professionali che ancora non hanno una rappresentanza o un ente previdenziale di riferimento. «Stiamo guardando con interesse ai revisori legali – ammette Saltarelli – che ancora non hanno un albo in Italia ma sono riconosciuti dall’Unione europea».
E proprio i vertici dell’Istituto Nazionale Revisori Legali (Inrl), che conta 10mila iscritti, hanno approvato in questi giorni un ambizioso progetto previdenziale da condividere con una delle Casse esistenti nel comparto professionale economicocontabile.
«Il progetto previdenziale di una Cassa dei revisori, condivisa con altre categorie professionali della medesima tipologia – commenta il presidente dell’Inrl, Virgilio Baresi – costituisce un traguardo essenziale per accompagnare nel futuro la nostra professione». Insomma, la filosofia è sempre la stessa: più siamo, meno spese abbiamo, più previdenza ci assicuriamo. Un’equazione che dovrà portare comunque a un risultato positivo, affinché il debito accumulato per pagare le pensioni di domani non sia un fardello sulle spalle dei lavoratori di oggi.