Finocchiaro (Covip): «Sarebbe auspicabile anche una progressiva riduzione del numero di fondi. Qualcosa già si muove, ma non alla velocità desiderata»
di Gabriele Petrucciani – 30-04-2011
Si accendono i riflettori sulle forme pensionistiche complementari. Lo scorso giovedì 28 aprile si è tenuta a Roma una tavola rotonda sul «rilancio della previdenza complementare e sul ruolo delle parti sociali», che ha visto la partecipazione del ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, mentre mercoledì e giovedì 4-5 maggio si terrà a Milano, presso la sede di Borsa Italiana (Palazzo Mezzanotte), la prima edizione della giornata della previdenza. L’attenzione sul tema, dunque, è sempre più alta. D’altronde, la riforma scattata a gennaio 2007 non è riuscita a far decollare a pieno il secondo pilastro delle pensioni. «E oggi la previdenza complementare è in condizioni di stallo», spiega a B&F Antonio Finocchiaro, presidente di Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione.
Come fare a rilanciarla, allora?
Le strade percorribili sono diverse: dalla realizzazione di un sistema più flessibile al miglioramento delle agevolazioni fiscali, da un’offerta più ampia di strumenti con buoni rendimenti a rischio contenuto a una più efficiente, rigorosa e trasparente governance. La Covip ha cominciato a rivedere l’apparato regolatorio per semplificare dettagli normativi che possono rappresentare un ostacolo alla competitività e alla concorrenza fra forme pensionistiche.
Non sarebbe auspicabile anche una riduzione in termini di offerta?
Alla fine del 2010 i fondi pensione in esercizio erano 559. Una progressiva riduzione del numero di fondi, attraverso fusioni e concentrazioni, è sicuramente auspicabile. In questo senso, qualcosa si sta già muovendo, anche se non con la velocità desiderata. Covip del resto non ha poteri cogenti in materia e può soltanto fare ricorso alla moral suasion in presenza di situazioni di difficoltà. Solo nel caso in cui non si raggiunga la quota minima di adesioni ipotizzata, è possibile chiedere ai fondi interessati di sciogliersi o a confluire in fondi di maggiori dimensioni. E riguardo ai fondi pensione negoziali (quelli di categoria, ndr), si potrebbe pensare di creare un fondo intercategoriale capace di raccogliere le adesioni dei lavoratori che operano nell’ambito di categorie numericamente limitate.
Intanto, però, resta aperto il nodo dei fondi complementari del pubblico impiego.
Purtroppo sì, ed è un ritardo che danneggia in particolare i lavoratori più giovani, per i quali si prospetta una pensione di molto inferiore a quella attuale.
Cosa si potrebbe fare per facilitare lo sviluppo di una maggiore cultura della previdenza?
È auspicabile che sia avviata al più presto una massiccia campagna istituzionale su tutto il territorio attraverso l’organizzazione di seminari e conferenze nelle scuole e nei posti di lavoro coinvolgendo, tra gli altri, organismi governativi, autorità di vigilanza, mass media e sindacati.