La pensione non si tocca. Una volta maturata, non può essere oggetto di rimaneggiamenti da parte delle casse professionali (e degli enti previdenziali, in genere) nemmeno se in gioco c’è l’equilibrio dell’ente o l’equità tra le generazioni. Il principio del pro rata soccorre proprio a questo: a evitare di frustrare le aspettative di diritti in via di maturazione (diritti acquisiti), scindendo la pensione in due quote che si sommano tra loro: la prima calcolata sull’anzianità acquisita sotto il vigore della vecchia norma, la seconda sull’anzianità residua alla luce della nuova norma che, generalmente, è meno favorevole. A ribadirlo è la Corte di cassazione in due recenti sentenze, la n. 8847 e la n. 8848 del 18 aprile, di condanna della cassa di previdenza dei ragionieri.
Il calcolo della pensione. Le due sentenze riguardano il calcolo della pensione e la possibilità, per una cassa di previdenza, di modificarne i criteri in corso di maturazione. Nello specifico sono relative alla cassa di previdenza dei ragionieri e alla delibera 22 giugno 2002 con cui la cassa aveva modificato il sistema di calcolo delle pensioni retributive, passando da un criterio che teneva conto dei 15 migliori redditi del professionista conseguiti negli ultimi 20 anni precedenti la maturazione del diritto, a un nuovo criterio che tiene conto «della media di tutti i redditi».
L’indirizzo si fa prevalente. Il problema, dunque, verte sul principio del pro rata, ossia su quel criterio che consente di ritoccare in corso di maturazione le regole di calcolo delle pensioni, introdotto dalla legge n. 335/1995 (riforma Dini delle pensioni) quale «principio di riforma economico-sociale della Repubblica». Le sentenze decidono una questione principale: se il principio del pro rata sia applicabile alle pensioni. La soluzione, infine, è la conferma di un indirizzo che, ormai, sta diventano consolidato. Ossia che il pro rata è pienamente applicabile anche alle pensioni. In origine, è la stessa Corte di cassazione ad affermare il contrario. Nella sentenza n. 14071/2007, infatti, sostiene che «il principio del pro rata deve intendersi fatto dal legislatore con riferimento ai parametri suscettibili di frazionamento nel tempo e di separata valutazione in relazione ai periodi temporali di vigenza di diverse normative, con la conseguenze che non sarebbe applicabile al sistema di calcolo della pensione, che non è suscettibile di frazionamento in quanto può avvenire esclusivamente al momento dell’accoglimento della domanda di pensionamento e deve essere eseguito secondo le norme in vigore in quel momento». Con successive sentenze, però, la stessa Corte (n. 24202/2009 e n. 20235/2010) ha invece optato per un diverso (opposto) orientamento. Orientamento che viene confermato dalle due recenti sentenze e per il quale se è vero, in via generale, che la pensione si calcola con le regole della normativa vigente all’epoca di maturazione del diritto, è altrettanto vero che il legislatore degli ultimi anni (che si connota per il perseguimento del risparmio della spesa previdenziale dei sistemi pubblici e privati) ricorre sovente alla diversa regola del pro rata, specificatamente per le prestazioni pensionistiche di anzianità e vecchiaia, i cui presupposti si maturano nel corso del tempo, andando a regolare quei casi in cui la lunga anzianità contributiva, che è prescritta come requisito, si colloca in un ambito temporale ove si succedono normative diverse e dove la più recente è, solitamente, meno favorevole alla regola precedente. In tal caso, il principio del pro rata esplica la sua principale finalità, che è quella di non frustrare le aspettative di diritti in via di perfezionamento: ciò che è stato maturato non può poi essere ritoccato, se non dal legislatore.