Le principali aziende italiane del settore finanza, assicurazioni e utilities scelgono l’outsourcing per fare fronte alla pressione competitiva e all’impatto delle tecnologie digitali
La crescente frammentazione della domanda del cliente finale, che si attende un approccio multicanale e una risposta “su misura”, la moltiplicazione dei segmenti di offerta sui quali si confronta la capacità competitiva delle aziende e la velocità di adattamento alle oscillazioni della domanda le motivazioni spingono le grandi imprese italiane nei settori bancario, assicurativo e delle utilities, a ricorrere all’outsourcing.
È quanto emerge dall’indagine qualitativa sulle aziende e sugli utenti contenuta nel Rapporto «La seconda transizione dell’outsourcing» realizzato dal Censis in collaborazione con il Gruppo De Pasquale, a vent’anni di distanza dalla prima indagine sul settore.
Dai risultati delle interviste condotte sull’attuale ricorso all’outsourcing e le motivazioni alla base delle decisioni di esternalizzazione emerge chiaramente un cambiamento di paradigma che spiega il valore attuale del comparto, pari a 19 miliardi di euro.
La selezione di attività a bassa complessità lavorativa, standardizzabili e ripetitive ha guidato la prima fase dell’outsourcing, assecondando un percorso di razionalizzazione generale dei processi e perseguendo con queste scelte l’obiettivo prioritario di innalzare il livello di redditività delle aziende.
Nell’ottica dell’evoluzione dell’outsourcing, un comune denominatore fra i settori analizzati nel Rapporto «La seconda transizione dell’outsourcing» è dato dal ruolo crescente della digitalizzazione all’interno delle aziende. Oltre a rappresentare una priorità strategica per gli obiettivi trasversali di crescita ed evoluzione del business, contatto con il mercato, semplificazione dei processi interni, la digitalizzazione abilitata da tecnologie e nuovi modelli di gestione spinge verso soluzioni di outsourcing in grado di offrire progressiva specializzazione e riduzione della complessità.
Il fenomeno della “servitization”, e cioè l’integrazione del prodotto di base venduto tradizionalmente con altri servizi aggiuntivi che portano a differenziare il prodotto di base, negli ultimi anni ha caratterizzato in maniera estesa l’evoluzione delle strategie di vendita delle aziende, portando all’adozione di un approccio diverso nei confronti del cliente il quale, nel frattempo, ha acquisito una buona padronanza nell’utilizzo dei tanti canali di accesso ai servizi e nell’uso di device e applicazioni sempre più sofisticati.
Dai risultati dell’indagine condotta sui comportamenti degli utenti che si sono rivolti ad un servizio clienti contenuta nel report “La seconda transizione dell’outsourcing”, emerge che la capacità di gestire le richieste del cliente in tempo reale e in modo personalizzato, sui diversi canali di contatto, sia fisici sia digitali, rappresenta oggi un imprescindibile elemento qualificante nella relazione con la clientela e un potenziale fattore di vantaggio competitivo.
Sono oltre il 36,4% i clienti che scelgono un canale di contatto esclusivamente digital nelle comunicazioni con la propria Banca, il 32,7% nel caso di comunicazioni con le Società Telefoniche, il 31,8% nei contatti con le società di Utilities, 31,0% per i rapporti con la Pubblica Amministrazione e 25,6% nel caso di compagnie di assicurazioni.
All’approccio digitale e personalizzato sul quale si confronta la capacità competitiva delle aziende, si aggiunge, specie per alcune di quelle intervistate nel Report, la necessità di gestire la richiesta di maggiore velocità nell’adattamento alle oscillazioni della domanda.
In ambito assicurativo, durante i periodi di lockdown a causa della pandemia di Covid-19, si è assistito ad una riduzione delle richieste di risarcimento nel campo delle RC Auto, date le restrizioni alla mobilità.
Le compagnie hanno potuto contare su strutture esterne molto più agili nel modulare l’impiego di risorse umane, senza che ciò abbia inciso sui costi e sull’organizzazione del servizio.
Anche al netto di eventi esogeni se non estremi come la pandemia o la crisi energetica, la flessibilità nella gestione della domanda richiede un punto di equilibrio che muta continuamente e che, ad esempio, l’organizzazione di un contact center con personale interno alle aziende non riesce a garantire.