di Anna Messia
Il 2023 sarà ancora l’anno dello sconto o di un nuovo assetto Mediobanca-Generali che dia finalmente stabilità alla Galassia del Nord? Nel 2022 il terreno del confronto è stata la compagnia triestina, con i grandi azionisti privati, Leonardo Del Vecchio (scomparto lo scorso giugno) e Francesco Gaetano Caltagirone, che avrebbero voluto un nuovo amministratore delegato. Mesi di tensione, fatti di dimissioni in consiglio, lettere di fuoco, ricorsi in tribunale (in particolare da parte dell’imprenditore romano) e addirittura di una richiesta di convocazione dei protagonisti della vicenda in commissione Banche al Senato. Riunione, quest’ultima, che poi è stata rinviata a quando i giochi erano ormai fatti, ovvero dopo l’assemblea di aprile, dove il mercato aveva scelto chiaramente di riconfermare il ceo di Generali Philippe Donnet per un nuovo mandato triennale, premiando i buoni risultati raggiunti dal manager negli ultimi sei anni (si veda tabella in pagina). Ma il fatto che la questione sia arrivata fino in Parlamento dà la misura di quanto la partita sia complicata e delicata. Dallo scorso aprile è stata pace armata, con il ceo della compagnia che ha potuto però lavorare a pieno regime all’attuazione del piano industriale.
Ora, con il nuovo anno, il confronto potrebbe spostarsi proprio in Mediobanca, che di Generali detiene il 12,77% e dove la Delfin della famiglia Del Vecchio e Caltagirone, benché ancora fuori dal consiglio di amministrazione, hanno un peso non meno rilevante che a Trieste, con quote pari rispettivamente al 19,8% e al 5,6% di Piazzetta Cuccia. La prima occasione per capire se i mesi trascorsi hanno contribuito a ridurre le divergenze (visti i buoni risultati di Piazzetta Cuccia anche sul fronte dei dividendi) sarà la presentazione del nuovo piano industriale che l’amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel sta mettendo a punto. Ma il vero banco di prova sarà il rinnovo del consiglio di amministrazione che avverrà con la riunione dell’assemblea che il prossimo ottobre dovrà approvare il bilancio. Il rischio è veder ripetersi lo scontro che si è consumato lo scorso aprile a Trieste, con da una parte il mercato e il management che spingono per una modello «public company» con un peso preponderante dei consiglieri indipendenti e dall’altra parte gli azionisti privati che, alla luce dell’ingente investimento, vogliono dire la loro sulla governance della banca e in consiglio di amministrazione.
Partita intrecciata a filo doppio con Generali nonostante più volte in questi mesi sia stata sottolineata la separazione netta tra Piazzetta Cuccia e Trieste. Perché un peso maggiore di Delfin e Caltagirone in Mediobanca implicherebbe a cascata una presa più forte anche su Generali, la quale, prima assicurazioni italiana con i suoi oltre 75 miliardi di premi, 52 miliardi di Btp e la presenza in 50 Paesi, è il vero oggetto del desiderio. Che cosa è cambiato da aprile ad oggi? La scomparsa di Leonardo Del Vecchio potrebbe aver incrinato la compattezza del fronte degli azionisti privati, considerando i numerosi eredi di mister Luxottica. Ma c’è un altro fatto degno di nota. Più volte in questi mesi dopo l’assemblea di aprile di Generali si è parlato di possibili operazioni straordinarie a Trieste in grado di incidere anche sugli equilibri azionari di Piazzetta Cuccia. A ottobre scorso, in particolare, era entrato nel vivo l’affare Guggenheim Investments. L’operazione avrebbe potuto consentire a Generali di crescere nell’asset management negli Stati Uniti tramite la società guidata da Mark Walter, patron del Chelsea. Operazione da circa 3 miliardi che Generali avrebbe potuto finanziare cedendo il suo 50,2% di Banca Generali proprio a Mediobanca, che a sua volta avrebbe messo sul piatto, carta contro carta, il 12,77% detenuto in Generali. Poi, proprio quando il dossier sembrava scaldarsi, le macchine si sono fermate: troppo differente l’approccio al business tra il gruppo americano e il Leone di Trieste, ha detto chi era vicino al dosser.
Ma l’ipotesi di una grande operazione per Generali (che ha a dispozione ben 3 miliardi di euro da destingare al m&a) resta sul tavolo, così come la possibilità di cedere Banca Generali a Mediobanca allentando il legame con Piazzetta Cuccia. Lo stesso Nagel non ha nascosto il suo interesse per un dossier di asset management e quindi anche per Banca Generali. Ipotesi di cui, in verità, si era già discusso nel 2020, quando Mediobanca indirizzò due lettere d’intenti al board delle Generali. Allora la proposta si scontrò con la dura opposizione di Delfin (in particolare del suo rappresentante Romolo Bardin) e di Caltagirone, ma il nuovo anno su questo fronte potrebbe essere quello della svolta. (riproduzione riservata)
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