di Angelo De Mattia
Le posizioni assunte a suo tempo, quando Fratelli d’Italia (Fdi) con la sua leader Giorgia Meloni erano all’opposizione, vengono ora richiamate per una sorta di esame di coerenza con quelle sui medesimi argomenti ora sostenute da parte della stessa forza politica dalle postazioni di governo, con il di più che adesso esse possono essere trasformate in decisioni. E’ ben diverso essere passeggero a bordo dall’essere alla guida del convoglio. Questa sorta di «verifica» non può tuttavia far passare in secondo piano la valutazione per quelle che sono adesso, hic et nunc, le posizioni della maggioranza che supporta il governo e su di esse fondare innanzitutto il confronto dialettico.
Una delle diverse prove di coerenza evocata in anticipo riguarda, come sarebbe stato facile prevedere, l’atteggiamento a proposito della ratifica del trattato sul Mes. Ora, una lettera di trenta accademici riconducibili, con le loro posizioni, alla sinistra invitano la presidente a rimanere sulle posizioni, a suo tempo sostenute, contrarie all’adesione al Meccanismo da cui dovrebbe discendere la non ratifica del Trattato. Lo sviluppo di diverse opinioni al riguardo diventa una ragione in più perché si assuma una decisione da parte del governo, non essendo sufficiente rimettersi puramente e semplicemente al Parlamento quasi che il governo si lavi le mani da una proposta e resti agnostico fino alla fine sulla strada da imboccare. L’immagine che ne deriverebbe non sarebbe esaltante. Rilanciare la logica del «pacchetto», agendo per avanzamenti importanti in materie connesse darebbe un diverso significato a un’eventuale ratifica (accompagnata, se lo si ritiene; da un orientamento per non ricorrere al Meccanismo). Nella suddetta lettera, comunque, si sottolineano alcuni punti condivisibili: innanzitutto, si sostiene, l’attribuzione al Mes della funzione di backstop del Fondo di risoluzione delle banche non è un passo decisivo del progetto di Unione bancaria.
Il vero avanzamento sarebbe, invece, varare finalmente l’assicurazione europea dei depositi che significherebbe la messa in comune, entro determinati limiti, dei rischi bancari a livello europeo. Ma questo progresso è osteggiato dalla Germania e da Paesi cosiddetti frugali i quali vorrebbero che se ne debba adottare prima un’altra: l’applicazione di un coefficiente di rischio ai titoli di Stato, in cui investono le banche, titoli ora considerati «risk free» oppure l’adozione di misure che escludano la concentrazione dei titoli stessi. Insomma, per raggiungere un obiettivo apprezzabile, sul quale al momento del varo dell’Unione bancaria anche i Paesi ora frenanti sull’assicurazione dei depositi ne condividevano l’introduzione, si dovrebbe conseguire un risultato intermedio non poco dannoso, in particolare per Paesi quale l’Italia.
Anche a proposito del giudizio che il Mes deve dare, per ammettere uno Stato ai suoi finanziamenti, sulla sostenibilità del debito – un altro dei temi sollevati dagli accademici – è vero che la decisione finale spetta alla Commissione Ue, ma la valutazione del Meccanismo ha, nei fatti, un suo peso rilevante, forse determinante. Queste e altre osservazioni rafforzerebbero la linea del «pacchetto», a fronte di quella, traumatica e dalle conseguenze ad ampio raggio, della non ratifica: si salvaguarderebbe in quest’ultimo caso la coerenza, ma si rischierebbe di produrre danni non irrilevanti. Altro argomento nel quale viene ricordata la posizione mantenuta da Fdi ai tempi all’opposizione riguarda il futuro di Ita Airways. La modifica del Dpcm del febbraio scorso in qualche modo capovolge ora l’operazione allora prevista: si ipotizzava per il vettore che sarebbe entrato nel capitale di Ita, in sostanza Lufthansa, l’acquisizione di una partecipazione di maggioranza, mentre il Tesoro sarebbe rimasto in minoranza e avrebbe curato la definizione di accordi di governance.
Adesso, lo Stato manterrà transitoriamente la maggioranza e il vettore – verosimilmente Lufthansa – entrerà in minoranza con una quota del 40% per poi passare a una quota di maggioranza con l’osservanza di una serie di condizioni. La linea per la non dismissione della proprietà pubblica, che era stata sostenuta dall’opposizione al governo Draghi sta, dunque, per cambiare. Molto dipenderà dai patti che saranno definiti. In sostanza, la verifica dovrà riguardare se come la scelta definitiva corrisponderà, in primo luogo, agli interessi del Paese. Se la nuova maggioranza non potrà dire riferendosi al passato, come Pilato, «quod scripsi, scripsi», anche a proposito, per esempio, della «pacchia» nei rapporti con l’Unione, è altrettanto vero che le posizioni da valutare sono quelle di adesso. Gli osservatori al merito di queste debbono rivolgere il loro interesse. (riproduzione riservata)
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