Carlo Giuro
Nell’agenda degli adempimenti da porre in essere entro fine anno è opportuno ricordarsi, nel caso in cui si sia aderito a una forma pensionistica complementare, che vanno comunicati a essa entro la data del 31 dicembre gli eventuali versamenti in relazione ai quali non si sia usufruito della deduzione nel 2021. La normativa prevede che in questo modo la corrispondente quota della prestazione finale, al 100% sotto forma di rendita o in alternativa 50% capitale e 50% rendita, sarà esente da tassazione al momento del pensionamento.
L’obiettivo è quello di consentire al risparmiatore previdenziale di poter recuperare il beneficio fiscale di cui non si sia usufruito nel durante, in ossequio al principio fiscale del divieto di doppia imposizione. Il regime fiscale applicato alla previdenza complementare in Italia è del tipo Ett (acronimo di esenzione, tassazione, tassazione) con la deducibilità dei contributi versati, la tassazione dei rendimenti e la tassazione della prestazioni. Nel rammentare che i versamenti a previdenza complementare godono del regime agevolativo della deducibilità entro il limite annuo dei 5.164,57 euro, la logica è che se oggi l’iscritto alla previdenza abbatte il reddito imponibile portando in deduzione, domani dovrà essere soggetto a tassazione, seppur in forma agevolata. La pensione integrativa non è infatti inserita nella dichiarazione dei redditi, con un duplice vantaggio rappresentato dal non fare cumulo con altri redditi con il rischio molto concreto di potere evolvere verso scaglioni di reddito più elevati soggetti ad aliquota Irpef più elevata e dall’applicazione di un’imposta sostitutiva che ha un’aliquota molto più bassa (il 15% che si riduce dello 0,30 per ogni anno di durata superiore al quindicesimo di partecipazione fino a un minimo del 9%) rispetto alla prima aliquota Irpef, che è fissata al 23%.
Se invece oggi l’aderente non deduce, come spiega sul suo sito anche la Covip, organo di vigilanza sui fondi pensione presieduto da Mario Padula, sarà esente quando si concluderà la partecipazione al piano di previdenza integrativa a condizione che abbia dichiarato al fondo pensione che non ha usufruito di tale possibilità. Ugualmente esente sarà la quota di prestazione che è riconducibile ai rendimenti finanziari generati dalla partecipazione al fondo pensione-pip, che sono tassati annualmente con aliquota del 20%, aliquota comunque agevolativa rispetto al canonico 26% che si applica sulle altre rendite finanziarie (è invece soggetta al 12,5% la parte riferita all’investimento nei titoli di Stato). Va però sottolineato come in quasi tutti gli altri Stati europei lo schema sia del tipo Eet (esenzione, esenzione, tassazione) con la non tassazione dei rendimenti.
Quando potrebbe capitare di versare e non dedurre a un fondo pensione? Nel concreto potrebbe essere il caso in cui si sia diversificato il rischio previdenziale aderendo a più fondi pensione, saturando per esempio il limite di deducibilità in uno di essi con versamenti non dedotti in altre forme pensionistiche. Oppure nell’ipotesi in cui si sia versato in maniera particolarmente cospicua nel proprio salvadanaio previdenziale per incrementare la propria posizione, superando il limite stabilito dei 5.164,57 euro annui.
La comunicazione al fondo pensione-pip può essere fatta in forma libera non essendovi nessuna previsione normativa o regolamentare specifica, anche se va ricordato come spesso le forme pensionistiche complementari alleghino dei moduli già predisposti allegati alle comunicazioni informative periodiche che devono essere obbligatoriamente inviate entro il termine del 31 marzo di ogni anno.
Merita poi menzione il legame tra previdenza complementare e welfare aziendale che sembra essere oggetto di particolare attenzione da parte del governo Meloni. Nelle dichiarazioni programmatiche rese alla Camera il Presidente del Consiglio ha infatti sottolineato come per fronteggiare l’inflazione è indispensabile intervenire con misure volte ad accrescere il reddito disponibile delle famiglie, partendo dalla riduzione delle imposte sui premi di produttività, dall’innalzamento ulteriore della soglia di esenzione dei cosiddetti fringe benefit, dal potenziamento del welfare aziendale. Nel decreto Aiuti quater si è poi portato a 3 mila euro il tetto dei fringe benefit dai 600 previsti già in deroga rispetto al tetto ordinario dal governo Draghi fino al prossimo 31 dicembre, potendo far rientrare in tale limite anche le somme erogate o rimborsate allo stesso dal datore di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche di acqua, luce e gas. Per il prossimo anno vi è poi l’intenzione di rivedere in senso migliorativo il regime fiscale del welfare aziendale. Nel disegno di legge di Bilancio si è a tal fine previsto, all’articolo 15, di disporre la riduzione dal 10% al 5% dell’aliquota dell’imposta sostitutiva sulle somme erogate sotto forma di premi di risultato o di partecipazione agli utili d’impresa ai lavoratori dipendenti all’interno del settore privato.
Nel caso in cui si sia destinato alla previdenza complementare il proprio premio di risultato, che sia inserito in un piano di welfare aziendale, è possibile dedurlo anche nel caso in cui si superi il limite dei 5.164,57 euro annui. Riconoscendo poi particolare valenza sociale, economica e produttiva al welfare aziendale, per la stessa quota si sarà esenti anche in sede di tassazione della prestazione finale. Anche per godere di tale esenzione è necessario però comunicarlo al fondo pensione, sempre entro il termine del 31 dicembre dell’anno successivo al versamento. (riproduzione riservata)
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