IL PRINCIPIO EMERGE DA UNA INGIUNZIONE DEL GARANTE (379/22) VERSO UN OPERATORE TELEFONICO
Antonio Ciccia Messina
La privacy cambia il modo di fare le trattative contrattuali: la mancanza di trasparenza negoziale è una violazione del Gdpr (regolamento Ue n. 2016/679, detto Gdpr). E la prospettiva di una sanzione del Garante della privacy è un argomento molto convincente a far cambiare la prassi della rete di vendita. Non spiegare bene le clausole di un contratto vuol dire violare la privacy e si rischia una sanzione amministrativa fino a 20 milioni di euro. Senza contare che per arrivare a tanto basta un reclamo al Garante, senza nemmeno doversi avventurare nella dispendiosa maratona di un processo civile.
È questo il principio che si estrae da una ingiunzione del Garante (n. 379 del 10 novembre 2022), con la quale è stata irrogata a un operatore telefonico, anche per altre violazioni, una sanzione di 500 mila euro.
Il ragionamento del Garante per cui una condotta scorretta nella fase precontrattuale e di conclusione del contratto è di per sé una violazione della privacy potrà aprire filoni di iniziative a tutela delle parti deboli, e tra tutte i consumatori di fronte a contratti conclusi con condizioni standard.
Le motivazioni dell’ingiunzione testimoniano, dunque, la forza espansiva dei principi del Gdpr, che può provocare effetti a cascata, addirittura, sul merito civilistico dei rapporti contrattuali.
La violazione della privacy diventa contemporaneamente l’essenza e la dimostrazione dell’assenza di correttezza e buona fede, imposte, peraltro, dal codice civile (articolo 1175 e 1375).
Ma vediamo di scendere nei dettagli.
Cascata di parole. Nel caso trattato dall’ingiunzione n. 379/2022 il Garante ha accertato che un call center albanese, il quale per conto di un operatore telefonico, ha concluso al telefono, con una persona anziana, un contratto per l’attivazione di servizi telefonici di linea fissa e correlata portabilità della numerazione.
Durante l’episodio è successo quel che capita quotidianamente in un numero infinito di volte e cioè l’operatore del call-center ha letto il contratto per l’attivazione dei servizi ad una velocità stimata di circa 200 parole al minuto per oltre sei minuti di registrazione. Una tecnica questa che rende il contratto incomprensibile e, scrive il Garante, soprattutto, invalutabile da parte di chi deve decidere se aderire o meno, rende l’intero trattamento.
E qui scatta la riflessione che abbina il profilo prettamente contrattuale e quello relativo in specifico ai dati personali.
Considerato, infatti, che quella valanga di parole si riferisce alla posizione della persona interessata, anche quella valanga di parole, nella sua integralità, costituisce un trattamento del dato.
Al riguardo va ricordato che la correttezza è un principio del trattamento dei dati per espressa prescrizione dell’articolo 5 Gdpr.
Il collegamento, a questo punto, è fatto: la violazione della buona fede e correttezza contrattuale è contemporaneamente violazione del Gdpr.
Conseguenze. Stando all’impostazione del Garante, le norme della privacy e del codice civile sui contratti si completano a vicenda.
Per stare tranquilli a proposito di un contratto, l’imprenditore non deve preoccuparsi solo delle condizioni stabilite dalle norme su obbligazioni e contratti a proposito della capacità di agire e dei vizi della volontà. L’imprenditore, in effetti, deve preoccuparsi che le prassi in uso non trasgrediscano gli standard “privacy”, considerato che tali condotte possono essere valutati sotto quel profilo, che rischia di essere più rischioso di quello civilistico.
Non a caso, nella vicenda in esame, l’operatore telefonico ha immediatamente fatto un passo indietro rispetto al contratto che ha annullato di sua iniziativa rimborsando l’utente con l’intento, così facendo, di alleggerire la posizione rispetto alle contestazioni di violazione della privacy. L’operazione, però, non è riuscita e il Garante non ha considerato scriminante il ravvedimento sul piano civilistico, decidendo per l’irrogazione della sanzione.
Consumatori. Se si ruota la prospettiva, dal punto di vista dei consumatori e delle loro associazioni, si apre una nuova stagione, si inaugura un filone di attività e si innesca la possibilità di provare nuove strategie.
A fronte delle modalità di conclusione dei contratti (soprattutto quelle con mezzi di comunicazione a distanza) la verifica della correttezza “privacy” diventa quasi prioritaria o comunque sullo stesso piano di altre possibili contestazioni (ad esempio a proposito dell’abusività delle clausole).
Un esito di questa verifica (nel senso della scorrettezza) potrà portare a scegliere di interessa anche il Garante della privacy in aggiunta ad altri rimedi.
Peraltro, non è escluso che lo stesso metodo possa applicarsi a tutti i casi in cui l’imprenditore usa formulari predefiniti o in cui i documenti contrattuali non sono nemmeno letti. Si tratta questo, comunque, un terreno tutto da esplorare perché, come è intuibile, mette in crisi tutte quelle situazioni in cui l’interessato firma dando per lette decine e decine di clausole, di cui nella sostanza si è del tutto inconsapevoli.
Call center, stop alle informative lette troppo velocemente
Stop alle informative privacy lette a velocità supersonica e alla prassi di chiedere di digitare un numero del telefonino per esprimere il consenso privacy a un risponditore automatico. Viola la privacy, ad esempio, una richiesta letta in un minuto usato per affastellare 63 parole. E lo stesso vale per un consenso raccolto con la digitazione dei tasti “#1” su un dispositivo.Il consenso deve essere qualcosa di inequivocabile e la richiesta di consenso non deve essere un trabocchetto.
Lo ha ricordato il Garante nell’ingiunzione n. 379/2022, con la quale ha stigmatizzato la condotta di un call center di un operatore telefonico e lo ha sanzionato.
Consenso chiaro. Da che esiste la normativa sulla privacy (in Italia almeno dal 1996) si continua a ripetere che il consenso deve essere libero e informato. Ma non può essere libero e informato un consenso espresso al termine della lettura di una formula di richiesta di consenso, citiamo testualmente dall’ingiunzione del Garante, costituita da oltre 60 parole pronunciate dall’operatore in circa 16 secondi: una lettura che, dice sempre il Garante, appare essere un esercizio di scarsa utilità, se si considera che tale formula risulta a malapena comprensibile soltanto dopo ripetuti ascolti.
Sara anche vero che come dice il Comitato europeo per la protezione dei dati (siglato Edpb dall’acronimo inglese) il consenso è informato se l’interessato ha ricevuto il nucleo essenziale delle informazioni (finalità e modalità del trattamento), senza necessità di avere tutte, proprio tutte, le informazioni previste dall’articolo 13 del Gdpr. Ma quel nucleo si deve poter capire.
Non basta un numero. Allo stesso modo violano la privacy una sintetica informativa attraverso un risponditore automatico e il consenso per finalità promozionali espresso con la digitazione di tasti (ad esempio “#1”) del telefonino.
Più in dettaglio, come si legge nell’ingiunzione, questa operazione non è idonea a costituire un quadro di legittimità dei successivi trattamenti, in ragione della carenza sia degli elementi informativi minimi offerti all’interessata sia dell’elemento dell’inequivocabilità del consenso medesimo (che non sembra poter essere assicurata dalla semplice digitazione di una sequenza alfanumerica di due elementi).
Magari si digita il tasto sbagliato per avere compreso male il messaggio o anche solo per un gesto maldestro che inciampa sul tasto sbagliato. Tra l’altro in questi contesti difficilmente si chiede conferma della effettiva volontà apparentemente manifestata con il primo gesto. Qualche volta sembra, anzi, che si voglia profittare dell’insidia rappresentata dall’uso di apparecchi per inchiodare a un gesto involontario la persona disattenta, alla quale non si da una seconda possibilità.
Peraltro, se l’informativa è lacunosa e la digitazione di una sequenza alfanumerica è equivoca, quel che capita dopo (ad esempio un contatto per proporre un contratto) è illegittimo e merita di essere punito.
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