di Carlo Giuro
I fondi pensione stanno affrontando quella che può definirsi come una tempesta perfetta. Le banche centrali hanno aumentato rapidamente i tassi in risposta alle dilaganti pressioni sui prezzi, ma è verosimile che persista in modo prolungato un elevato livello di inflazione. L’inasprimento della politica monetaria determina poi un rallentamento della crescita con possibili effetti recessivi. Qual è il sentiment degli investitori previdenziali sullo scenario economico e come si stanno posizionando per costruire portafogli resilienti all’inflazione? La ricerca internazionale di Create-Research e Amundi appena pubblicata nell’edizione 2022 offre una rappresentazione dello scenario evolutivo, considerando le risposte di 152 piani pensionistici di 17 Paesi, che gestiscono un patrimonio di 1.980 miliardi di euro

Interrogati sulle prospettive più probabili per l’economia globale post-pandemica, il 50% dei partecipanti all’indagine concorda su uno scenario di stagflazione, cioè inflazione elevata e crescita debole. L’ipotesi di stagnazione secolare è citata dal 38% con un ritorno al contesto pre-pandemico, bassa crescita, bassa inflazione, bassi investimenti in beni materiali, disuguaglianze che dilagano e salari stagnanti. Solo il 12% prevede lo scenario dei ruggenti anni Venti. In tale contesto le pressioni sui prezzi dovute alle strozzature dell’offerta si attenuano notevolmente mentre la crescita è significativa, trainata dagli aumenti di produttività legati all’innovazione che mantengono bassa anche l’inflazione. Come sottolinea Amin Rajan di Create-Research, il docente che ha guidato il progetto: «Dopo una prolungata era di denaro a buon mercato e rendimenti a due cifre, la brusca impennata dell’inflazione ai massimi da 40 anni nei Paesi occidentali ha segnato una svolta. La domanda chiave per i fondi pensione è come ridisegnare i propri portafogli in un mondo caratterizzato da un’inflazione strutturalmente più elevata, da una politica monetaria delle banche centrali meno accomodante e da una maggiore incertezza geopolitica».

L’aumento delle correlazioni è un fattore che cambia le regole del gioco: si evidenzia poi come la valenza della diversificazione sia venuta meno proprio quando era più necessaria. I grandi sell-off di azioni e obbligazioni si sono mossi di pari passo nel 2022. La correlazione tra obbligazionario e azionario è diventata positiva nella fase di crescita dell’inflazione e si stima che dovrebbe tornare in territorio negativo con la normalizzazione dell’inflazione ma persisterà un certo livello di instabilità, guidando cambiamenti nell’asset allocation. Secondo quanto emerge dal rapporto sono favoriti gli asset che proteggono dall’inflazione con un partecipante al sondaggio su due che aumenterà le allocazioni nel real estate e nelle infrastrutture. Si prevede ancora una maggiore diversificazione a livello regionale, poiché i mercati chiave si de-sincronizzano a causa delle differenze nelle prospettive di inflazione (l’ascesa della Cina come superpotenza economica diventa un tema chiave da considerare come allocazione di portafoglio indipendente). L’ultimo cambiamento riguarda il rilancio degli investimenti value. Monica Defend, head of Amundi Institute, sottolinea come «l’inasprimento della politica monetaria e il rischio di recessione economica hanno reso i mercati finanziari molto volatili, compresi i classici beni rifugio. Il tradizionale portafoglio 60/40 deve incorporare nuove caratteristiche, come un’inflazione strutturale più elevata, banche centrali meno accomodanti, la frammentazione economica, e temi emergenti di lungo periodo come trasformazione industriale, rimodellamento della catena del valore e autonomia strategica. A tale riguardo, le azioni ad alto dividendo, gli investimenti tematici e gli asset reali diventano cruciali».

Per quanto riguarda i rendimenti degli asset nei prossimi tre anni, il 59% ritiene che saranno di gran lunga inferiori a quelli dell’ultimo decennio. Pertanto, l’asset allocation si articola adesso su tre pilastri, ciascuno con un obiettivo distinto: un rendimento totale equilibrato, la protezione dall’inflazione e la conservazione del capitale. Il 70% ritiene le azioni globali il principale motore di crescita dei portafogli e l’asset class più adatta a generare rendimenti totali accettabili (a patto che l’inflazione non si mantenga al di sopra del 5%). Per la protezione dall’inflazione, i piani pensionistici si stanno riorientando verso asset reali nei mercati privati, in particolare il settore immobiliare (49%) e le infrastrutture (49%). Tuttavia, questa scelta non è priva di sfide, data la capacità limitata di questi asset e la loro intrinseca illiquidità, che riduce la flessibilità del portafoglio. La metà degli intervistati (44%) preferisce i titoli di Stato statunitensi come copertura contro gli asset rischiosi, seguiti dai titoli di Stato europei (40%) e dai titoli di Stato cinesi (36%).

Il 60% prevede di aumentare le proprie allocazioni in fondi tematici considerando come filoni specifici prioritari l’ambiente, il sociale e la governance (preferiti dal 76% degli intervistati) perché si prevede un premio da questi investimenti. Altri temi considerati sono l’assistenza sanitaria/tecnologia sanitaria (50%), la genomica e le biotecnologie (32%) e l’invecchiamento della popolazione (38%). In questo caso, l’attenzione si concentra sull’accelerazione delle scoperte mediche e sulla loro rapida commercializzazione, come è accaduto con il vaccino Covid-19. I fondi passivi poi, dopo oltre un decennio di forti venti favorevoli, sembrano aver mantenuto una forte attrattiva per i piani pensionistici nell’attuale turbolenza dei mercati. Tra i fattori chiave figurano il minor costo (86%), il loro ruolo di efficace strumento di liquidità e di copertura (56%) e di diversificazione a livello internazionale (49%). Il 52% ritiene che fondi attivi e passivi siano complementari in un portafoglio diversificato. In prospettiva, il 29% prevede di aumentare la propria quota di fondi passivi, il 16% di ridurla e il restante 55% di mantenerla stabile. (riproduzione riservata)
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