di Francesco Ninfole
L’inflazione calerà in modo significativo nel 2023, mentre la recessione dovrebbe essere lieve e di breve durata. Philip Lane, capoeconomista e membro del comitato esecutivo della Bce, in questa intervista a MF-Milano Finanza traccia lo scenario macroeconomico nell’Eurozona e interviene su tutti i principali ambiti della politica monetaria in vista del consiglio direttivo del 15 dicembre. Sui tassi la Bce ha fatto già molto e considererà anche quanto faranno le altre banche centrali, mentre la riduzione del bilancio (il Quantitative Tightening) secondo Lane dovrebbe essere un processo in due fasi.
Domanda. Nell’Eurozona l’inflazione ha raggiunto il picco?
Risposta. Probabilmente è troppo presto per dare questo giudizio, ma sarei ragionevolmente fiducioso nel dire che è probabile che siamo vicini al picco. Ma se il picco sia già arrivato o arriverà all’inizio del 2023 è ancora incerto. L’incertezza principale è che abbiamo visto una grande volatilità nei prezzi del gas. In alcuni Paesi le bollette per i consumatori si sono mosse molto, mentre in altri Stati alcune utility non hanno ancora finito di aumentare i prezzi. Dato il rincaro molto consistente dell’energia, non escludo un po’ di inflazione in più all’inizio del prossimo anno. Superati i mesi iniziali, andando più avanti nel 2023, in primavera o in estate, dovremmo assistere a un calo significativo del tasso di inflazione. Ciò detto, il cammino dell’inflazione dagli attuali livelli molto alti fino al 2% comunque richiederà tempo.
D. L’anno prossimo si scenderà verso il 6-7% di inflazione?
R. Il calo iniziale rispetto agli attuali tassi elevati sarà intorno a quel livello, ma mi attenderei ulteriori riduzioni nel corso dell’anno.
D. È possibile che l’inflazione di fondo (core) salirà mentre quella complessiva (headline) scenderà?
R. Potrebbe accadere perché un fattore importante dell’inflazione di fondo al momento è il fatto che molti settori dell’economia, come i trasporti e il turismo, utilizzano molta energia e, come conseguenza del forte aumento dei costi delle materie prime, devono aumentare i prezzi dei servizi e dei beni che vendono. E quindi l’inflazione di fondo sale. Questo finora è accaduto anche a causa di un secondo motivo: negli ultimi sei mesi c’è stata una ripresa della domanda per la fine delle restrizioni per la pandemia. Ma questo secondo fattore dovrebbe avere un minor ruolo l’anno prossimo, quando la fase di riapertura dell’economia sarà finita e le spese saranno tornate a un livello più normale. Un terzo fattore riguarda l’aumento dei salari, che contribuiranno all’incremento dei costi in tutta l’economia.
D. Per quanto riguarda le prospettive dell’inflazione a medio termine, la Bce ha previsto un livello del 2,3% nel 2024. L’inflazione sarà più vicina al 2% nel 2025? E sempre nel medio termine, quando la maggior parte dei fattori legati a pandemia e guerra svaniranno, ci saranno più rischi al rialzo o al ribasso per l’inflazione?
R. In genere ci si potrebbe aspettare di vedere l’inflazione avvicinarsi all’obiettivo con un periodo di tempo supplementare, anche perché abbiamo già aumentato i tassi in modo rilevante e abbiamo detto che li alzeremo ancora. Questo non ha un effetto immediato sull’inflazione, ma nei prossimi uno o due anni i tassi più alti freneranno la domanda e ridurranno la spesa e quindi la capacità delle imprese di chiedere prezzi elevati, limitando così le possibilità di aumenti salariali non sostenibili. Pertanto una ragione fondamentale dell’avvicinarsi dell’inflazione al nostro obiettivo è costituita dagli interventi della nostra politica monetaria. Riteniamo inoltre di non dover far fronte alla stessa crisi energetica ogni anno.
Vorrei però aggiungere che crediamo ci sarà un secondo round di inflazione. Come detto, molti settori devono aumentare i prezzi perché i loro costi sono cresciuti. È anche vero che molti lavoratori hanno subito una forte riduzione del tenore di vita, ma ci aspettiamo che ricevano aumenti di stipendio più elevati l’anno prossimo e anche nel 2024 e nel 2025. Questi incrementi sosterranno la spesa e faranno aumentare anche i prezzi. Questo è il motivo per cui ci vorrà un po’ di tempo per tornare al target del 2%. Gli effetti di secondo livello guideranno l’inflazione l’anno prossimo e nel 2024.
D. Dopo le misure già prese e considerato l’effetto ritardato della politica monetaria sull’economia, è opportuno un approccio più cauto in occasione dei prossimi rialzi dei tassi? Le prospettive più rosee dell’inflazione ridurranno le pressioni per un ulteriore inasprimento aggressivo?
R. Le decisioni sui tassi prese da luglio in poi sono state mosse caute. Avere un tasso di -0,5% non era più un approccio adeguato quando i rischi di inflazione sono aumentati. Perciò la normalizzazione della politica monetaria è stata prudente e abbiamo detto di avere ancora molto da fare. Ma è anche vero che dobbiamo riconoscere che le decisioni sui tassi che abbiamo già preso contribuiranno a ridurre il tasso di inflazione l’anno prossimo e quello successivo. Ci aspettiamo che saranno necessari altri rialzi, ma molto è già stato fatto, quindi dovremo assicurarci di avere una buona comprensione dell’outlook di inflazione e dei fattori di rischio nel fissare i tassi riunione per riunione.
D. Alcuni giorni fa lei ha detto di non vedere molti argomenti a favore di un aumento dei tassi di 75 punti base. La sua opinione è cambiata o si è rafforzata dopo gli ultimi dati economici?
R. Mi permetta di non essere d’accordo con questa descrizione. Quello che ho detto e che dico è che quando avevamo tassi molto bassi un rialzo di 75 punti base era piuttosto semplice. Quindi aveva senso a settembre e a ottobre. Vedremo a dicembre quale sarà la decisione corretta. Ma il punto di partenza è diverso ora. Abbiamo già alzato i tassi di 200 punti base. Saremo ancora guidati dall’outlook di inflazione. Ma in nessuna riunione si può decidere l’entità appropriata dell’aumento senza considerare il punto di partenza, che ora è molto più alto rispetto a quello delle riunioni precedenti.
D. Questo significa che lei suggerisce ora incrementi dei tassi inferiori?
R. Il punto di partenza più elevato è una dimensione del dibattito, ma naturalmente in termini più ampi dovremo considerare l’outlook complessivo. Voglio dire che quando prenderemo le future decisioni sui tassi, incluso a dicembre, dovremo considerare la portata di ciò che abbiamo già fatto, quindi la base per la decisione sarà diversa.
D. Molte aziende e famiglie vedono l’aumento dei tassi come un ulteriore onere che si aggiunge alla recessione e all’inflazione. Perché la recessione non è sufficiente a ridurre le pressioni sui prezzi? Come farà la Bce a garantire che sarà evitata una stretta non necessaria per imprese e famiglie?
R. Al momento riteniamo che, se ci sarà una recessione, sarà relativamente lieve e relativamente di breve durata. Se sarà di sei mesi e non sarà grave, la riduzione della domanda aggregata in questo caso sarebbe ridotta. Rispetto a una recessione più grave, una di minore entità e minore durata rappresenta una buona notizia per l’Europa, ma vuol dire anche che l’impatto anti-inflazionistico sarà relativamente limitato. Mi rendo conto che l’onere degli aumenti dei tassi non sarà uniforme. Per esempio le famiglie che hanno un mutuo a tasso variabile saranno più esposte rispetto a quelle con un mutuo fisso a lungo termine. Anche le imprese molto indebitate saranno più colpite, e sono diverse le implicazioni per le start up rispetto alle imprese mature.
D. A quali indicatori guarderà la Bce per definire il tasso di interesse terminale?
R. Adotteremo sempre un approccio globale. Come ho affermato nel mio articolo sul blog la scorsa settimana e in altri interventi, non ci sono scorciatoie. Non c’è una sorta di indicatore speciale che può dirci in modo univoco quale sarà il tasso terminale.
D. Può indicare però i principali elementi considerati?
R. Contano tutti i fattori che influenzano l’outlook di inflazione. Quindi innanzitutto la previsione di inflazione. In secondo luogo, i rischi intorno a quella previsione. Poi gli altri indicatori della dinamica dell’inflazione. Ma naturalmente consideriamo anche ciò che sta accadendo nel resto del mondo.
D. In quale modo?
R. Per esempio, se pensiamo che l’economia nel resto del mondo stia rallentando o che le altre banche centrali globali ridurranno la domanda attraverso le loro politiche monetarie, allora il tasso che dobbiamo raggiungere ne sarà influenzato. Quindi la nostra valutazione considera le prospettive di inflazione per l’Eurozona, le prospettive di inflazione globale e anche le prospettive delle banche centrali globali. Ma alla fine guarderemo a un intervallo di tassi, non a un unico tasso terminale. E per orientarsi in questo contesto l’approccio riunione per riunione ci consentirà di valutare la nostra decisione immediata sui tassi di interesse guardando all’intervallo dei possibili tassi terminali.
D. Questa fascia di tassi adesso è più in alto rispetto all’ultimo Consiglio direttivo?
R. Aspetterò che arrivino i dati completi e che l’outlook sia sviluppato da tutto l’Eurosistema. Occorre aspettare le nuove proiezioni dello staff dell’Eurosistema. Dopo che avremo una buona comprensione sull’outlook di inflazione esamineremo le implicazioni per il tasso terminale.
D. Riguardo alle Tltro, è rimasto sorpreso per i bassi rimborsi delle banche a novembre e si aspetta numeri più alti a dicembre?
R. È importante non concentrarsi sul numero di novembre, ma su quanto le banche potrebbero restituire tra novembre, dicembre e gennaio. Ogni banca è in una situazione diversa e fa considerazioni differenti a fine anno sul ruolo dei finanziamenti Tltro in relazione alla raccolta complessiva. In termini generali pensiamo che ci sarà una riduzione significativa delle passività Tltro nelle prossime finestre, in linea con il cambiamento di politica che abbiamo introdotto.
D. Quanto invece al Quantitative Tightening (Qt), come farà la Bce ad assicurare un processo senza volatilità sui mercati? A dicembre saranno definiti solo i principi o anche qualcosa in più, come una tabella di marcia o un avvio vero e proprio dell’operazione?
R. Ha senso un processo in due fasi. Il primo passo è quello di definire i principi. Il secondo è quello di definire una tempistica. Ma credo che ormai ci sia un consenso universale, non solo all’interno della Bce, sul fatto che il Qt debba essere essenzialmente un programma in background. Ci assicureremo che dia il suo contributo alla normalizzazione della politica monetaria, in modo da rafforzare lo strumento primario che è quello di definire i tassi. Il nostro focus sarà sulla definizione del tasso di riferimento, mentre il Qt opererà in secondo piano, in modo prevedibile e misurato.
D. Immagina un Qt passivo nel quale una percentuale dei bond scaduti nel programma App non viene reinvestita?
R. Il modo esatto in cui decideremo di ridurre l’App sarà deciso nelle prossime riunioni, ma è giusto aspettarsi che adotteremo un approccio costante. Ogni banca centrale è diversa in termini di struttura delle scadenze del proprio portafoglio, ma l’App consentirà un approccio costante.
D. Come farà la Bce ad assicurare che lo scudo anti-spread Tpi sia efficace? Se vedremo un aumento della frammentazione sui tassi dovuta all’inasprimento monetario, la banca centrale sarà pronta ad attivare lo strumento?
R. Vogliamo essere molto chiari: abbiamo un’ottima comprensione di ciò che è in gioco. Sappiamo che le banche centrali possono essere estremamente efficaci in ogni tipo di interventi di stabilizzazione del mercato. Perciò la Bce sarà molto efficace nel rispondere a qualsiasi tipo di frammentazione ingiustificata o di interruzione del meccanismo di trasmissione. Non ci deve essere alcun dubbio che possiamo utilizzare il Tpi in modo molto energico ed efficace.
D. Maggiori politiche espansive da parte dei governi potranno spingere la Bce ad alzare di più i tassi?
R. La risposta di base è sì. Se l’area dell’euro avrà deficit fiscali più ampi, ciò aumenterà la domanda complessiva nell’economia e quindi questo implicherà un aumento dei tassi per assicurare che l’inflazione torni al 2%. Perciò abbiamo sottolineato che nella risposta immediata alla crisi energetica i governi devono ancora fare molto, proteggere i più vulnerabili e offrire sostegno alle imprese che affrontano sfide particolari. È utile intervenire in modo temporaneo e mirato invece che alimentare eccessivamente la domanda aggregata su base permanente.
D. Come devono agire i governi?
R. Se gli interventi sono temporanei, non ci sarà un impatto rilevante sui deficit dell’anno prossimo e di quello successivo, che è ciò che conta nel medio termine. È importante anche agire in modo mirato. Si possono aiutare i gruppi più vulnerabili ma in modo meno costoso rispetto a programmi generalizzati. Quindi è possibile sostenere famiglie e imprese che hanno bisogno di sostegno con misure temporanee e mirate, mentre se i deficit rimanessero troppo alti a tempo indeterminato aumenterebbero le pressioni sulla domanda.
D. Quali sono i principali cambiamenti legati alla crisi energetica e gli effetti duraturi nel medio/lungo termine per l’economia europea?
R. Si possono fare alcune considerazioni nell’ipotesi che ci sia solo una limitata riduzione dei prezzi dell’energia, tale da non farli tornare ai livelli pre-pandemia. Il primo punto da evidenziare è che l’Europa sarà collettivamente più povera perché siamo grandi importatori di energia. I redditi più bassi, dovuti ai pagamenti extra per l’energia, ridurranno la domanda nell’economia. Il secondo aspetto è che alcune aziende che utilizzano molta energia perderanno competitività su scala globale, quindi ci si aspetterebbe di vedere alcune industrie delocalizzare in regioni dove l’energia è più economica. Ma poi c’è anche un terzo elemento più ottimista.
D. Quale?
R. La risposta alla crisi energetica sta accelerando e stimolerà la transizione verde e gli investimenti nelle energie rinnovabili. Ci vorrà tempo ma poi l’approvvigionamento energetico sarà più sicuro, perché non faremo più affidamento sulle importazioni di combustibili fossili, e più economico, perché le energie rinnovabili avranno costi marginali più bassi. Quindi penso che ci sarà un periodo molto difficile da affrontare, ma anche una transizione più rapida verso un’economia più sostenibile.
D. Qual è la sua opinione sulle proposte della Commissione Ue sul nuovo Patto di Stabilità?
R. Ci sarà un dibattito sulla materia e vedremo i dettagli delle decisioni, ma voglio essere molto chiaro su questo punto: la cosa più importante è che l’Europa concordi un quadro fiscale il prima possibile nel 2023, perché ne abbiamo davvero bisogno per aiutare i governi europei a prendere decisioni per il 2024 e gli anni successivi. È necessaria un’ancora fiscale per assicurare che i governi siano in grado di conciliare la risposta alla crisi energetica con l’impegno per debiti sostenibili nel medio termine.
D. Invece per la politica monetaria qual è il rischio maggiore? Fare troppo o troppo poco?
R. È importante riconoscere che lo scenario peggiore è che l’inflazione rimanga troppo alta per troppo tempo. La storia insegna che è molto costoso liberarsi da un’inflazione radicata. Dobbiamo evitarlo assicurandoci che l’inflazione torni al 2% in modo tempestivo. Ma, precisato questo imperativo, vogliamo anche assicurarci di essere efficienti e di farlo in modo da non portare a un overshooting e a un’eccessiva riduzione dell’attività economica. Quindi non credo che sia opportuno fare una scelta binaria tra troppo o troppo poco. C’è una gerarchia: dobbiamo riportare l’inflazione sotto controllo e verso l’obiettivo. Ma dobbiamo anche riconoscere che, una volta che ci siamo avvicinati al target, può emergere il rischio di overshooting.
D. Può precisare cosa intendete quando dite che volete riportare l’inflazione al 2% «in modo tempestivo»? In quale modo questa espressione ha un significato diverso rispetto a «nel medio termine»?
R. Questo è un punto molto importante. La Bce ha sempre detto di avere un approccio a medio termine ma senza definirlo in modo esatto. Il medio termine può essere più lungo se il tipo di deviazione dell’inflazione non è eccessiva, ma dovrebbe essere più breve se abbiamo un grande divario di inflazione da correggere, come quello attuale. Quindi usiamo l’espressione «in modo tempestivo» per non vincolarci a un anno o a un periodo in particolare, ma essenzialmente per segnalare che vogliamo riportare l’inflazione al 2% a una velocità appropriata, e che non ci voglia un tempo eccessivo. Quindi non è soddisfacente dire che l’inflazione sarà al 2% tra molti anni. Dobbiamo assicurarci che l’inflazione torni al 2% entro un orizzonte ragionevole, che sarà definito con precisione dal Consiglio direttivo.
D. Alcuni osservatori hanno criticato l’orientamento della Bce a focalizzarsi solo sull’inflazione, a volte anche quella di breve termine, trascurando gli effetti sull’economia e sulla stabilità finanziaria. Il mandato è sull’inflazione ma la difesa della credibilità sui prezzi può portare la banca centrale a decisioni prive di un’analisi più complessiva sull’economia?
R. Considereremo sempre tutte le dimensioni dell’impatto delle nostre misure. Ci assicuriamo sempre di essere proporzionati nelle decisioni. Il focus è principalmente sull’inflazione. Quello che conta è l’outlook di inflazione nel medio termine, che dipende anche dall’economia e non è legato solo all’inflazione attuale. Si può essere fiduciosi: ci assicureremo di raggiungere l’obiettivo di stabilità dei prezzi, ma senza causare eccessivi effetti collaterali per l’economia e la stabilità finanziaria. (riproduzione riservata)
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