Altro giorno nero, martedì 21 dicembre. La quotazione del metano sulla piattaforma è schizzata del 22% in 24 ore. Conseguenza, dicono gli esperti, del fatto che i russi di Gazprom hanno chiuso ancora un po’ i rubinetti. Un giorno nero purtroppo uguale a tanti altri da giugno a questa parte nella tempesta perfetta che non mette a dura prova solo i bilanci familiari, come si narra da settimane. Perché, fatto ben più grave, sta strozzando anche la ripresa economica generale. Soprattutto nelle imprese meno grandi e attrezzate di fronte alla colpevole indifferenza di chi qualcosa potrebbe e dovrebbe fare.

«Gliel’ho detto, ai politici. Si preoccupano unicamente della corsa alla presidenza della Repubblica. Cosa importantissima, per carità. Ma sembra che il resto non li riguardi. Ed è allucinante che non ci si renda conto di quanto sta accadendo da mesi», accusa il presidente della Confapi Maurizio Casasco. La sua diagnosi è spietata: «Ci sono aziende piene di ordini che anziché aumentare la produzione la stanno riducendo. I costi dell’energia sono così alti che le imprese producono in perdita e per non perdere non producono. Siamo all’assurdo: dopo la cassa integrazione per il Covid e la mancanza di ordini e di lavoro ci sarà la cassa integrazione per eccesso di ordini». E tira fuori una tabella con dati da brivido. Dicono che martedì 21 dicembre il prezzo dell’energia elettrica era pari a 418 euro e 36 centesimi al megawattora con il risultato che la media del costo di dicembre 2021 ormai supera i 291 euro. Un anno fa eravamo a 54 euro: quindi l’aumento è del 540%. Peggio che con una guerra.

«La crescita dei prezzi sui mercati energetici», conferma anche un’analisi dell’Ufficio Studi della Confartigianato diretto da Enrico Quintavalle, «è collocata su una traiettoria senza precedenti». Se a novembre «la quotazione del gas negli Stati Uniti è salita del 94% rispetto a dodici mesi prima, quella del gas naturale sul mercato dei Paesi Bassi, di riferimento per gli scambi di metano nell’Europa continentale, è salita del 492,4%».

La botta è tremenda. Anche perché con la ripresa economica sostenuta la domanda di gas qui cresce del 6,9% contro il 5,7% della media europea. E si dà il caso che l’Italia, sottolinea l’Ufficio Studi di Confartigianato, produca il 48,3% di energia elettrica tramite il gas. Che è decisamente più del doppio rispetto al 19,6% della media dell’Unione Europea e questo si ribalta pesantemente sul costo dell’elettricità. Così a dicembre, conclude lo studio, il cosiddetto Prezzo Unico Nazionale risulta superiore del 439,2% rispetto a quello di un anno prima. Pazzesco.

Enea Filippini è l’esperto di energia della Confapi. E mentre argomenta quanto la situazione sia insostenibile non riesce a trattenere l’indignazione: «Sa che cosa succederà? Molte aziende sub-fornitrici andranno in default perché non possono scaricare sui prezzi gli aumenti che sono costrette a subire. Se ti ritrovi una fattura dell’elettricità di 400 mila euro invece delle solite 200 mila, tutti margini evaporano e, per assurdo che possa sembrare, conviene non produrre. E’ già accaduto nel settore del vetro e ora ce lo aspettiamo anche in altre filiere». Per spiegare l’impatto sui conti economici fa l’esempio del consorzio consumatori di elettricità del quale è consigliere, che riunisce una quarantina di aziende bresciane. Secondo i suoi calcoli, la fattura energetica potrebbe passare dai 4 milioni di quest’anno a 19 milioni di euro nel 2022. Sempre poi che passi la tempesta perfetta. Nell’attesa c’è chi riduce la produzione e chi sceglie di lavorare soltanto di notte, perché in quelle ore l’energia costa qualcosina in meno. Ma c’è pure chi non ha scelta. «So che molti frenano gli ordinativi per non rimetterci. Non è per noi un’opzione possibile. Siamo fornitori di imprese importanti, come la Clementoni. E non possiamo correre il rischio di perdere certe commesse. Così non resta che tagliare tutto quello che si può, anche se ormai abbiamo raschiato anche il fondo del barile», racconta l’amministratrice della Thilo Plast di Castelfidardo Fabiola Burini. Che quest’anno ha già dovuto sborsare 100 mila euro in più per le bollette dell’elettricità. Raddoppiate da 15 a 30 mila euro in un amen.

Chi come lei spera in un raffreddamento dei prezzi ha però già messo in conto che i primi tre mesi dell’anno potrebbero essere ancora più difficili. Anche perché le cause che hanno provocato la tempesta perfetta sono sempre lì. La decisione europea di combattere le emissioni di Co2 ha fatto impennare i futures sui certificati verdi, passati da 25 a 85 euro per tonnellata. La fine dei contratti pluriennali, che avrebbe dovuto far risparmiare grazie ad acquisti nei periodi estivi a prezzi più bassi di gas da stoccare nei depositi, ha poi avuto l’effetto contrario. Perché con stoccaggi non sufficienti a far fronte alla domanda i produttori hanno pensato bene di mettere in manutenzione i gasdotti e tagliare le forniture. Facendo sestuplicare i prezzi nel giro di una settimana. Da parte dei russi una chiara ritorsione politica contro la minaccia di sanzioni per le manovre militari ai confini dell’Ucraina. Non bastasse, la Francia, che vende all’Italia l’energia prodotta con il nucleare, ha dovuto fermare momentaneamente due centrali atomiche per problemi tecnici.

«Chi crede che sia una bolla speculativa si sbaglia di grosso», avverte il segretario generale della Fim Cisl, Roberto Benaglia. «La faccenda», dice, «è seria e sta mettendo in grande difficoltà aziende metalmeccaniche forti e imprese siderurgiche solide nel Veneto e in Lombardia. Gli incredibili aumenti dell’energia si sommano anche ai folli rincari di materie prime come l’acciaio, che è quadruplicato. La globalizzazione sta mangiando se stessa e il rischio è che a pagare siano proprio i lavoratori».

Il fatto è che l’impatto sociale di una nuova brusca frenata dell’economia appena ripartita potrebbe essere drammatico. «Se non si interviene, le aziende piccole salteranno e quelle grandi delocalizzeranno nei Paesi dove l’energia costa un quinto», profetizza Casasco. Ed è davvero grave che non sia ancora scattato l’allarme nel Palazzo. Eppure qualche cosa si dovrebbe fare subito. Alla Confapi, per esempio, sono convinti che ci si debba preparare alla cassa integrazione in deroga: non più per il Covid ma per gli aumenti dell’energia. E che sia necessario prevedere anche per le imprese, con il sostegno della Cassa Depositi e Prestiti, la rateizzazione delle bollette già concessa alle famiglie. Ma dopo le toppe servirebbero interventi strutturali per correggere le distorsioni del mercato dell’elettricità, dove oggi il Prezzo Unico Nazionale viene fatto dall’ultima offerta più alta anziché sulla media ponderata delle offerte, come forse sarebbe più logico. Ma chi ha provato a toccare questo tasto ha preso una bella scossa e non è difficile capire perché. Resta una domanda: abbiamo ancora un’Autorità per l’Energia? (riproduzione riservata)
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