Paola Valentini
Appuntamento importante quello del 2022 per i fondi comuni legati ai Pir, gli strumenti finanziari più premiati dal fisco a portata dei piccoli risparmiatori. Nell’anno infatti scadono i cinque anni di permanenza minima per avere l’esenzione delle rendite finanziarie generate dall’investimento sui primi prodotti nati nel 2017. In cinque anni si tratta di un profitto netto superiore di oltre un quarto se paragonato allo stesso rendimento lordo ottenuto con le tradizionali blue chip dato che l’aliquota ordinaria sui capital gain è del 26% e del 12,5% sui redditi derivanti dai titoli di Stato, i quali però non sono il focus dei Pir dato che questi strumenti nascono per investire sulle quotate di Piazza Affari, soprattutto le pmi.

E per gli investitori della prima ora i rendimenti sono sicuramente a doppia cifra dato che all’inizio del 2017 il Ftse Mib era poco sopra quota 19 mila punti e oggi è salito oltre 26 mila, con una rialzo quindi di oltre il 35%. Un rendimento che, per chi ha tenuto i Pir in questo lustro e li venderà allo scadere, non sarà decurtato dall’imposta sulle rendite finanziarie.

Iter difficile. Ma la vita di questi prodotti non è stata facile per via dei cambiamenti normativi in corsa che ne hanno bloccato la raccolta nel 2019 e nel 2020. Eppure nell’anno del debutto, il 2017, i Pir erano partiti subito molto bene chiudendo con una raccolta di 11 miliardi di euro su 77 miliardi di tutto il mercato dei fondi. La crescita era proseguita nel 2018 con quasi 4 miliardi di flussi contribuendo a portare in attivo l’industria (che aveva chiuso a 671 milioni). Poi c’è stata la frenata dei due anni successivi (-1,1 miliardi nel 2019 e -759 milioni nel 2020) a causa di cambiamenti della normativa che avevano di fatto provocato lo stop delle sottoscrizioni.

E nel 2021 la raccolta ha rialzato la testa anche grazie al buon andamento del listino italiano dopo la fase più acuta della pandemia. A marzo 2020 infatti il Ftse Mib era scivolato nel giro di poche settimane fin sotto i 16 mila punti per poi rimbalzare in modo deciso a partire da novembre del 2020 in concomitanza con la scoperta dei nuovi vaccini anti-Covid. E l’arrivo a Palazzo Chigi del premier Mario Draghi a febbraio scorso ha contribuito alla sostenibilità del recupero di Piazza Affari tanto che a metà novembre l’indice ha toccato il suo massimo dal 2008 a oltre 27.800 punti. Nel 2021 quindi sono arrivati segnali incoraggianti dai flussi, anche se con un ritmo di crescita non certamente paragonabile a quello registrato nei primi due anni. Sulla base degli ultimi dati pubblicati nella mappa trimestrale di Assogestioni, nel corso del terzo trimestre 2021 i fondi aperti Pir compliant hanno registrato sottoscrizioni nette per 154,7 milioni, in miglioramento rispetto ai 105,6 milioni di flussi in entrata del trimestre precedente, ma da gennaio la raccolta resta ancora in rosso (-56 milioni), con masse gestite che hanno comunque superato i 20 miliardi. «Dato il progresso, restiamo fiduciosi che l’interesse per questo prodotto continuerà la sua ripresa nei prossimi mesi», spiegano da Intermonte che stima per il 2021 una raccolta lorda da nuovi sottoscrittori di 150 milioni, seppur in calo di 50 milioni rispetto alla previsione precedente a causa della recente volatilità del mercato, seguita da 2,4 miliardi per il 2022. Equita sim, alla luce dei dati del terzo trimestre, prevede «su tutto il 2021 una raccolta netta per circa 150-200 milioni, in ribasso da 500 milioni indicati nel nostro ultimo aggiornamento di settembre, e di un miliardo nel 2022 con una raccolta lorda superiore a 1,5 miliardi», afferma Luigi De Bellis, co-responsabile dell’ufficio studi di Equita. Un nuovo elemento a favore arriva dal governo che tenta la via del rilancio aumentando la soglia massima oggetto dell’agevolazione fiscale. Un intervento coerente con la finalità dei Pir nati per aumentare l’esposizione del risparmio delle famiglie italiane verso portafogli di lungo termine per supportare la crescita dell’economia reale del Paese.

La legge di Bilancio sul 2022 modifica la norma originaria del 2017, aumentando da 30 mila a 40 mila euro il limite di investimento annuo esentasse (quindi da 150 mila a 200 mila euro il limite complessivo sui cinque anni), dopo che nel 2020 una simile modifica effettuata dal precedente governo Conte nel cosiddetto decreto Agosto aveva innalzato il limite di investimento annuo per i Pir alternativi da 150 mila a 300 mila euro. I quali per la prima volta registrano capitali in entrata significativi: 428 milioni nel primo semestre con masse pari a 684 milioni, dati (di Assogestioni) che Intermonte definisce incoraggianti visto che per ora solo pochi fondi hanno ricevuto l’approvazione perché questi strumenti sono stati avviati dalla normativa a metà 2020.

Si tratta però di fondi chiusi che sono dedicati a un segmento di clientela più sofisticato rispetto ai Pir ordinari per via dei limiti all’uscita prima della scadenza dato che questi strumenti sono nati per indirizzare il risparmio verso le società non quotate (e per questi veicoli la nuova legge di Bilancio ha esteso al 2022 i benefici fiscali sotto forma di credito di imposta sulle minusvalenze a determinate condizioni).

In totale a fine settembre il mercato dei Pir conta 68 fondi aperti cui fa capo un patrimonio promosso di 20,25 miliardi. Primo per raccolta nei Pir nel terzo trimestre è il gruppo Arca con 42,9 milioni, segue Anima con 33,4 milioni, Poste con 31,6 milioni, Amundi con 23,5 milioni, Cassa Centrale Banca con 17,4 milioni e Mediolanum con 15,2 milioni. Intesa Sanpaolo ha avuto una raccolta di poco meno di un milione. Quanto al patrimonio promosso nei Pir sul podio a fine settembre siedono Mediolanum (4,27 miliardi), Intesa Sanpaolo (4,11 miliardi) e Amundi (3,05 miliardi), seguiti da Arca (2,47 miliardi) e Anima Holding (1,94 miliardi). A questi cinque operatori fa capo quasi l’80% delle masse sui fondi Pir.

La scelta del migliore. In questo contesto il miglior Pir da inizio anno è il Made in Italy Fund con un rendimento di oltre il 62%, come emerge dai dati Fida, che ha elaborato la classifica delle performance suddividendo i comparti per categoria (si veda tabella): gli azionari Italia e i bilanciati, le specializzazioni che comprendono ovviamente più prodotti, poi i prodotti a ritorno assoluto e gli obbligazionari (solo due). Made in Italy è gestito da Massimo Fuggetta, fondatore di Bayes Investments e advisor del fondo, è stato lanciato nel maggio 2016 e l’anno dopo è diventato Pir. Dal suo debutto ha reso il 107% rispetto al suo indice di riferimento Ftse Small Cap che ha fatto il +80%. Punta su società italiane con una capitalizzazione inferiore a un miliardo (investe in maggioranza sull’Aim) e in portafoglio ha circa 30 azioni. Il fondo ha avuto un mese negativo a novembre, il primo da ottobre 2020, ma ha chiuso il mese davanti all’indice del mercato principale Ftse Mib così come all’indice di riferimento Ftse Small Cap.

«Il nostro best performer di novembre è stato Tecma Solutions, in rialzo del 23% nel mese, del 49% da inizio anno e del 147% sul prezzo di ipo di novembre 2020. Renergetica ha continuato la sua corsa, salendo di un altro 19% nel mese e portando la sua performance da inizio anno al 71%. Seguono Be Shaping the Future e Growens, in crescita rispettivamente del 16% e del 14%. Sul lato negativo, Sebino è scesa del -24%, Labomar del -16%, Websolute del -14% e Reti del -13%. Sono tutte fortemente su da inizio anno. Le nostre prospettive per il nuovo anno rimangono decisamente positive», sottolinea Fuggetta.Tra le prime sgr italiane a lanciare un fondo Pir, nella primavera del 2017, è stata Anthilia Sgr, forte dell’esperienza sulle pmi italiane. Il fondo Anthilia Small Cap Italia è al terzo posto per rendimento quest’anno con una performance del 42,4% e a tre anni fa il +145%, il migliore sul mercato, come risulta dai dati Fida. Al secondo posto per performance 2021 c’è Arca Economia Reale Equity Italia con un +43,7% (98% a tre anni). Possono investire in Pir persone fisiche fiscalmente residenti in Italia che non detengano contemporaneamente più di un Pir e non lo condividano con altre persone fisiche. I piani mettono in portafoglio strumenti finanziari emessi dalle imprese (azioni e obbligazioni), ma anche quote di fondi e conti correnti, purché vengano rispettati i requisiti previsti dalla normativa nella composizione, nei limiti dell’investimento e nei tempi di detenzione.

Almeno il 70% del patrimonio deve essere investito in azioni e obbligazioni di aziende italiane o europee con una stabile organizzazione in Italia; di tale quota, minimo il 25% deve andare su strumenti di imprese non presenti nell’indice Ftse Mib e almeno il 5% in titoli di società diverse da quelle inserite nei panieri Ftse Mib e Ftse Mid Cap, quindi piccole. Il beneficio fiscale, oltre all’esenzione dalle imposte sulle rendite finanziarie, prevede anche l’esenzione dalle imposte di successione sull’investimento, senza vincoli specifici legati all’età dell’intestatario del piano. (riproduzione riservata)
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