di Marco Capponi
Banca Generali si aggiudica il titolo di asset manager più sostenibile al mondo. Ad assegnare il titolo è stata Sustainalytics, agenzia di rating del gruppo Morningstar specializzata in valutazioni Esg, che ha rilevato come lo score di rischio in termini di sostenibilità del gruppo guidato dall’ad Gian Maria Mossa sia pari a 9,2 punti: un livello definito “trascurabile”. In questo modo l’istituto ha raggiunto la posizione numero 99 in classifica generale (su 15mila società totali), aggiudicandosi la medaglia d’oro tra quasi 450 asset manager censiti. «L’anno scorso eravamo intorno alla posizione 5mila», ha raccontato Carmelo Reale, responsabile area general counsel e sustainability della banca, «ma da quel momento abbiamo individuato una road map che, partendo dal confronto coi concorrenti, ci permettesse di posizionarci in modo unico». Il primo passo è stato quello di «adottare criteri di esclusione applicabili al nostro risparmio gestito», eliminando ad esempio le società che utilizzino energia derivata dal carbone in modo sostanziale, producano armi non convenzionali, siano coinvolte in modo prioritario in altri settori di business controversi. «In secondo luogo», ha aggiunto Reale, «la nostra assemblea ha approvato la proposta di legare il 20% dei piani di incentivazione del top management a obiettivi Esg, in modo che gli investitori possano vedere – anche da un punto di vista formale – come i target si trasformino in progetti concreti». La banca ha inoltre «integrato le buone pratiche nei regolamenti dei singoli comitati, formalizzando quello che prima veniva fatto in maniera perlopiù informale».
Da ultimo, ha evidenziato il manager, Banca Generali ha saputo lavorare sul versante comunicativo: «non ha senso», ha evidenziato, «proclamare che tutte le strategie messe in atto sono Esg, se poi questa affermazione non è dimostrabile». Un punto di partenza che serve a prevenire, nell’opinione del manager, anche il rischio di cosiddetto greenwashing: «meglio fare poche cose ma buone ed essere credibili effettuando misurazioni effettive e trasparenti circa il metodo di calcolo adottato». In fondo, ha concluso Reale, «anche parlare di greenwashing può fare bene, perché alza il livello di attenzione sul tema, soprattutto per le piccole e medie imprese e gli investitori». (riproduzione riservata)
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