di Mario Lettieri*
e Paolo Raimondi**
L’Economic Outlook sullo stato dell’economia mondiale, recentemente pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), traccia una situazione veramente molto preoccupante. E, siccome si basa su dati precedenti alla seconda ondata della pandemia, le prospettive per l’anno 2021, purtroppo, sono peggiori di quanto analizzato. Ciò a prescindere dall’arrivo e dall’utilizzo del vaccino anti Covid.
Il Pil mondiale dovrebbe ridursi del 4,25% nel 2020 e dovrebbe ricuperare tale percentuale nel 2021. Le perdite maggiori nell’economia americana e in quella della zona euro, stimata intorno al 7,5%, sarebbero parzialmente compensate dalla crescita cinese del 3,5% di quest’anno. Mediamente, i Paesi cosiddetti avanzati e quelli emergenti alla fine del 2022 potrebbero aver perso l’equivalente di 4-5 anni di crescita attesa per il reddito procapite reale.
Secondo l’Ocse i dati sono ben più seri se si osservano i settori legati all’economia reale. La produzione industriale globale perde oltre il 10% rispetto al 2019 e in molti Paesi, anche alla fine del 2022, rimarrebbe sotto del 5% rispetto al livello pre-Covid.
Come nella Grande Crisi del 2007-8, anche il commercio mondiale ha subito una riduzione eccezionale: nei primi sei mesi del 2019 lo scambio di merci si è ridotto del 16%! Alla fine dell’anno tale perdita potrebbe ridursi grazie alla parziale ripresa economica della Cina e di altri Paesi asiatici.
Nonostante gli aiuti e il sostegno ai salari messi in atto dai vari governi per evitare licenziamenti di massa, il tasso di disoccupazione nei Paesi Ocse è salito al 7,25%. In Italia si stima che nel 2019 si siano persi 700 mila posti di lavoro!
L’Ocse teme fortemente quanto potrebbe succedere nel 2021, quando i sostegni alla cassa integrazione potrebbero diminuire nel contesto di una prevedibile ripartenza incerta dell’economia. Una cosa è certa: per parecchio tempo l’occupazione rimarrà sotto i livelli pre-Covid, contribuendo a far lievitare per diversi anni i costi della pandemia e a mettere sotto pressione i salari, i redditi e i consumi.
Inevitabilmente gli investimenti si sono fermati. Nella prima metà dell’anno, nonostante gli effetti negativi sui redditi delle famiglie, i loro risparmi sono addirittura aumentati tra il 10 e il 20%. Probabilmente impaurite dalle oscure prospettive future. Insieme ai vari lockdown, ciò ha provocato un effetto valanga nei settori del turismo, del retail, della ristorazione e di altri servizi. Anche per il 2021 ci si aspetta una crescita del risparmio di circa il 2%. Ovviamente non è un bene.
Realisticamente, uno scenario dell’Ocse per il 2021, rispetto al periodo pre pandemia, prevede una diminuzione del 7% del commercio mondiale, una diminuzione del 12% degli investimenti, un aumento della disoccupazione di 1,7% e una forte deflazione con un’inflazione negativa di almeno 1,25% sui prezzi al consumo. Mediamente, nei paesi avanzati il rapporto debito pubblico/pil dovrebbe crescere del 7,5% entro il 2022.
I mercati finanziari e le borse dovranno, di conseguenza, essere gli osservati speciali. Il citato rapporto prevede che gli choc della pandemia possano determinare una riduzione dell’1% del capitale investito nel business entro la metà del 2021. L’aumento del debito, in particolare quello corporate, potrebbe far salire di almeno 50 punti base, lo 0,5%, il costo del premio al rischio. Globalmente, nel 2021 si stima anche una diminuzione del 10% del prezzo delle azioni e del 15% di quello delle commodity non alimentari. Tendenze negative che, ci si augura, potrebbero essere superate durante il 2022.
Anche i sistemi bancari dovranno affrontare una serie di problematiche, a partire ovviamente dalla crescita dei cosiddetti non performing loans, dei crediti inesigibili. È ovvio che le perdite di reddito, di produzioni e di entrate che tutti i settori produttivi stanno subendo, creeranno enormi difficoltà alle famiglie e alle imprese per far fronte ai vecchi e agli eventuali nuovi debiti con le banche.
La situazione tracciata è molto difficile. Ma non è la fine del mondo. Nella storia umana, anche nel secolo da poco terminato, si è stati in grado di rispondere in modo efficace e virtuoso alle catastrofi delle guerre, dei terremoti e di altre pandemie.
Perciò è fondamentale non perdere l’occasione per realizzare le riforme globali necessarie e giuste. Cosa che, invece, i governi non hanno fatto dopo la Grande Crisi del 2008.
Guardando al mondo di oggi e alla necessità di renderlo più equilibrato e integrato, nello spirito della lontana Bretton Woods è opportuno e inderogabile affrontare le sfide del futuro all’interno di una nuova architettura globale da definire insieme, e non solo per tutti i settori dell’economia. In particolare, nel mondo della finanza si dovrà realizzare un moderno sistema del credito produttivo, contrapposto alla devastante deregulation finanziaria e bancaria, che ha creato le ben note bolle speculative di ogni tipo.
Nuovi accordi, secondo noi, sono inevitabili nel commercio mondiale, nel sistema monetario internazionale, nella politica degli investimenti e delle produzioni, definendo le effettive priorità nel campo della ricerca, della sanità, della cultura, dell’ambiente e dell’educazione.
Il Covid, nella sua brutalità, ha dimostrato come la globalizzazione sia una realtà oggettiva e non un progetto geopolitico di qualcuno. Ha costretto i governi e i popoli a cercare forme di collaborazione. Ha provato, in modo drammatico, che siamo effettivamente tutti sulla stessa barca, in un villaggio comune, dove povertà e sottosviluppo non dovrebbero più avere posto.
*già sottosegretario all’Economia
**economista
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