di Anna Messia
Atassi bassi ma ad alto gradimento. Il primo bond emesso mercoledì 2 dicembre da Poste Italiane dopo sette anni di assenza dai mercati è stato un successo, con una richiesta oltre cinque volte superiore all’offerta nonostante i rendimenti praticamente inesistenti: la prima tranche da 500 milioni, con scadenza dicembre 2024 ha un rendimento effettivo a scadenza negativo, del -0,025% e la seconda, di pari importo, ma con scadenza dicembre 2028, appena dello 0,531%. Tanto basta, di questi tempi, a scaldare gli investitori istituzionali ma l’impressione è che, nonostante l’operazione sia stata decisamente vantaggiosa per le Poste, il gruppo guidato da Matteo Del Fante non diventerà un habitué dei bond. Lo dimostra il fatto che erano sette anni che non ne emetteva uno, preferendo altre forme di finanziamento più flessibili (linee di credito bancarie) o comunque convenienti (Bei).
Per sapere se il gruppo deciderà di approfittare ancora delle condizioni di mercato decisamente favorevoli per emettere altri bond bisognerà aspettare solo qualche mese, quando sarà presentato il nuovo piano industriale, atteso entro il primo trimestre 2021, che farà chiarezza, tra l’altro, su investimenti e allocazione del capitale. Inizialmente sembrava che il velo su nuovi obiettivi e strategie del gruppo post Covid sarebbe stato alzato alla fine di quest’anno. Poi però si è presentata una ghiotta occasione per il gruppo per chiudere un’operazione che si preannuncia strategica in un settore in evidente difficoltà: quello del recapito postale tradizionale. Grazie al decreto Agosto, che ha semplificato le aggregazioni in settori di interesse economico, o che a causa della crisi innescata dalla pandemia coinvolgono imprese che rischiano di chiudere i battenti, Poste ha deciso di muovere sulla diretta concorrente Nexive. «L’obiettivo è realizzare economie di scala eliminando la duplicazione di infrastrutture divenuta insostenibile in un mercato in forte contrazione, con l’impegno a salvaguardare i livelli occupazionali e a continuare a investire nell’innovazione del settore», ha spiegato Del Fante. Anche perché pure per Poste che da anni fa utili con il settore del risparmio, dei pagamenti e delle polizze, il comparto del recapito è in perdita. I 262 milioni di euro di contributi statali per il servizio universale incassati ogni anno secondo il contratto di programma firmato con il ministero dello Sviluppo Economico (e approvato nei giorni scorsi dall’Unione europea) coprono appena la metà degli effettivi costi del servizio.
Aumentare la massa critica in un settore dove i volumi decrescono più velocemente che in altri Paesi europei può essere quindi la maniera di tamponare la situazione e rendere più sostenibile la gestione. L’apporto di Nexive, che ha una quota di mercato di circa il 12%, consentirebbe a Poste di arrivare appena oltre il 90%. Ora dovrà essere l’Antitrust a dire la sua, sentito il parere del ministero dello Sviluppo Economico e dell’Agcom con il via libera atteso proprio per la fine dell’anno o al più tardi a inizio 2021. A questo punto il gruppo ha deciso di aspettare qualche mese per presentare il piano. Anche perché nel frattempo andrà sistemato un altro capitolo non meno importante: la convenzione con Cassa Depositi e Prestiti (che detiene il 35% di Poste) per distribuire di buoni e libretti negli uffici postali. Da quando Del Fante ha preso le redini del gruppo, il risparmio postale è tornato al centro della strategia, in risposta al precedente costante impoverimento del risparmio postale, con lo stock stagnante poco sopra i 250 miliardi, e con flussi di raccolta netta negativi. I riscatti avevano abbondantemente superato i nuovi risparmi, con il picco di -10 miliardi nel 2016. Deflussi che la convenzione in vigore ha bloccato ma ora, con i tassi d’interesse rasoterra si apre una nuova sfida per il prossimo triennio che vale molto anche per Poste considerando che dall’accordo in atto ricava commissioni annue di a 1,8 miliardi.
Di certo il risparmio postale sarà ancora al centro del nuovo piano, come ci sarà la spinta sulla raccolta di risparmio gestito e sul settore assicurativo. Non solo nel Vita, dove Poste ha già raggiunto da anni la leadership, ma anche nel Danni dove, nonostante la frenata provocata dal lockdown il gruppo ha già iniziato a registrare numeri da record, con la compagnia che nei nove mesi 2020 si è piazzata al secondo posto nel mercato banca-assicurazione non-auto dietro Intesa Sanpaolo. L’impressione è che le Poste vogliano essere considerate a tutti gli effetti anche assicuratori danni, con una proposta semplice e completa che va dalle polizze casa a quelle salute, dalle coperture per gli animali domestici agli infortuni e, inevitabilmente, anche all’Rc Auto: il progetto pilota con i dipendenti, avviato con Unipol e Generali, nella seconda metà del 2021, sarà esteso a tutta la rete ma anche su questo fronte a indicare la rotta sarà il nuovo piano industriale. (riproduzione riservata)
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