di Francesca Gerosa
Il pil italiano non tornerà ai livelli pre-Covid prima della seconda metà del 2023 e per tornare sui livelli precedenti il 2007 servirà ancora più tempo. Nel frattempo l’Italia avrà vissuto circa un ventennio di stagnazione economica dopo un lungo periodo di crescita debole. Lo ha detto ieri il governatore di Bankitalia Ignazio Visco durante la lectio magistralis in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2020-2021 del Gran Sasso Science Institute de L’Aquila. «Le proiezioni per i prossimi anni, seppur circondate da un’incertezza senza precedenti, suggeriscono che in Italia il pil non recupererà il livello registrato alla vigilia dello scoppio della pandemia da Covid-19 prima della seconda metà del 2023», ha scandito il numero uno di Palazzo Koch.
Va ricordato che, secondo le proiezioni diffuse la scorsa settimana dalla stessa Banca d’Italia, la caduta del pil quest’anno dovrebbe essere del 9% circa. Nonostante il recupero dell’industria «più intenso nei mesi estivi», ha aggiunto ieri Visco, «il quadro resta debole nei servizi e specialmente nei comparti più esposti agli effetti della pandemia, quali commercio al dettaglio, trasporti, alloggi e ristorazione. Sulla domanda pesa inoltre l’aumento della propensione al risparmio delle famiglie a fini precauzionali».
Ancora «più tempo sarà necessario per riuscire a tornare ai valori del 2007», precedenti la crisi finanziaria globale e da quella dei debiti sovrani dell’area dell’euro. Si tratterà, quindi di un sostanziale «ristagno» dell’attività economica nel complesso di circa un ventennio, dopo un lungo periodo peraltro di crescita in media già debole. Per comprendere le ragioni di questo «deludente andamento», ha sottolineato il governatore, è necessario riflettere sulle determinanti della produttività delle imprese e sulle conseguenze dei grandi cambiamenti avvenuti a partire dagli anni 90, in particolare l’accelerazione del progresso tecnologico e il processo di integrazione internazionale dei mercati. A questi cambiamenti, ha messo in evidenza Visco, l’Italia «non ha saputo far fronte, accumulando gravi ritardi».
Un esempio è la dimensione delle imprese italiane. «Se avessero la stessa struttura dimensionale di quelle tedesche, la produttività media del lavoro nell’industria e nei servizi di mercato sarebbe superiore di oltre il 20%, superando anche il livello della Germania». Per questo motivo, ha spiegato il numero uno di Via Nazionale, «è essenziale attuare riforme volte a creare condizioni più favorevoli alla crescita delle imprese, ridurre gli oneri amministrativi e burocratici che ne ostacolano gli investimenti, aumentare la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici».
Il sistema della ricerca in Italia «per quantità di risorse impiegate è sottodimensionato rispetto al peso economico del Paese». Eppure, ha aggiunto, «l’Italia può vantare un sistema della ricerca di qualità in complesso elevata, comparabile a quella dei maggiori Paesi europei. Se valorizzati con investimenti adeguati, questi risultati», ha sottolineato il governatore, «permetterebbero all’Italia di partecipare al sistema della ricerca europea su un piano almeno paritario».
Con una popolazione calante, «continuare a migliorare gli standard di vita e riportare la dinamica del pil intorno all’1,5% (il valore medio annuo registrato nei dieci anni precedenti la crisi finanziaria globale, ndr) richiederà un incremento medio della produttività del lavoro di poco meno di un punto percentuale all’anno. E’ un obiettivo alla nostra portata ma che necessita un netto recupero nei campi della ricerca, della digitalizzazione e dell’istruzione», ha spiegato il governatore.
Uno «straordinario sostegno» per colmare i ritardi può provenire dalle risorse del programma Next Generation Eu, ha sottolineato Visco. «Il piano deve favorire un rafforzamento del tessuto produttivo e della capacità di azione delle nostre amministrazioni pubbliche; può svolgere un ruolo cruciale nel cambiare il contesto in cui operano le imprese, mettendole in grado di rispondere in modo efficace non solo alle sfide del progresso tecnologico e della globalizzazione, ma anche a quelle che saranno poste dall’eredità della crisi pandemica». Il rafforzamento dell’istruzione, infine, «deve avere un ruolo centrale. L’esiguità dell’investimento in conoscenza è una delle principali ragioni del nostro progressivo declino». (riproduzione riservata)
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