Ritorna lo spettro di una tassa sulla ricchezza degli italiani, ma in realtà c’è già l’imposta di bollo su quasi tutti i capitali, compresi i c/c, a cui si aggiunge il prelievo sui rendimenti. Fondi pensione e polizze restano invece tra gli strumenti più agevolati
di Paola Valentini
L’imposta patrimoniale è uno spauracchio che compare e scompare periodicamente sulla scena italiana. Ultimo caso in ordine di tempo è stata la petizione che il Fatto Quotidiano ha lanciato su Change.org – sulla scia di alcune iniziative come l’emendamento della sinistra di governo a firma Leu/Orfini – proponendo un prelevamento forzoso del 2% su ricchezze superiori a 50 milioni e del 3% per patrimoni di oltre un miliardo, con l’obiettivo di recuperare risorse da utilizzare per fronteggiare la pandemia. Una proposta shock che in pochi giorni ha raccolto più di 50 mila adesioni.

Ma, a conti fatti, di balzelli che gravano sulla ricchezza se ne contano già una decina. Imu e imposta di bollo le più note, fino ad arrivare a bollo auto e canone tv. Tutte insieme permettono allo Stato di incassare alcune decine di miliardi l’anno. In questo contesto il rilancio dei consumi, che il governo Conte persegue con l’operazione cashback, ha come contraltare la necessità di spingere verso gli investimenti la maxi-scorta di liquidità che gli italiani continuano a parcheggiare sui conti correnti, una tendenza che si è accentuata durante il lockdown. Due facce della stessa medaglia che contribuirebbero a iniettare risorse nell’economia reale. Mentre la continua minaccia di nuove patrimoniali crea allarmi e sfiducia nei risparmiatori e li allontana dall’impegno produttivo del Paese, come ha avvertito di recente il presidente di Assoedilizia Achille Colombo Clerici. Inoltre gli interventi per un cashback sul risparmio andrebbero fatti di pari passo alla lotta al sommerso perchè la ricchezza legata all’evasione fiscale vale oltre 100 miliardi l’anno; «quello è il vero patrimonio da aggredire», ha detto il direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini. Una situazione che si è aggravata quest’anno: secondo il Mef, la pandemia ha rallentato la lotta all’evasione per la sospensione dell’attività di accertamento da parte dell’amministrazione durante la situazione di emergenza.

Nel frattempo il fisco continua a picchiare duro sul risparmio. Da un’analisi della Cgia Mestre emerge che se negli anni 90 il gettito delle varie imposte patrimoniali era attorno ai 25 miliardi, negli anni 2000 si è attestato a 30 miliardi per poi spiccare il volo nell’ultimo decennio: il ricavato è salito a 44 miliardi nel 2012 dai 31 dell’anno precedente, con un balzo del 40% per via dell’introduzione dell’imposta di bollo, oltre che all’Imu sulla casa (fino al 2013 valida anche sull’abitazione principale), due misure istituite dal governo Monti per frenare la speculazione che aveva messo nel mirino i Btp. E proprio l’aliquota dell’imposta di bollo è stata al centro di aspre critiche perché si tratta di un balzello che colpisce ogni anno i capitali investiti in tutti gli strumenti finanziari (anche le azioni), con pochissime esclusioni. E oltretutto è andata crescendo nel tempo. Nel 2012 era pari allo 0,1%, nel 2013 l’aliquota è passata allo 0,15% e dal 2014 è salita allo 0,2%. Ricorda per certi versi il prelievo forzoso sui depositi bancari avvenuto nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1992 con aliquota del 0,6% nel bel mezzo di altro attacco all’Italia, quello alla lira. Quel provvedimento del governo Amato era una tantum, mentre il bollo colpisce ogni anno tutte le consistenze patrimoniali investite in attività finanziarie con un’aliquota dello 0,2%. In realtà sui conti correnti detenuti dai risparmiatori lo 0,2% è sostituito da importo fisso di 34,2 euro per importi sopra 5 mila euro, con un peso su questo minimo che è dello 0,68%. E considerando che la media degli importi sui conti correnti si aggira sui 15-16 mila euro ecco che si torna allo 0,2%. Come mostra la tabella in pagina tutti gli asset finanziari sono colpiti dall’imposta di bollo, compresi i conti di deposito vincolati e non vincolati. Restano fuori soltanto i fondi pensione, le gestioni separate delle polizze vita di ramo I (e i fondi sanitari). Accanto all’imposta di bollo sul capitale maturato ogni anno, gli investimenti finanziari sono soggetti alla tassazione sul rendimento e anche in questo caso dal governo Monti in poi il peso dell’imposizione è cresciuto: fino al 2011 aveva un’aliquota del 12,5% per poi salire al 20% nel 2012 e al 26% nel 2014 sotto il governo Renzi. I rincari hanno interessato tutti gli strumenti, a parte i titoli di Stato che restano al 12,5% e i fondi pensione al 20% (anche se prima erano all’11%). Ma ecco, asset per asset, come viene tassato il risparmio in Italia.

Btp & C. I titoli di Stato, ovvero Bot, Btp, Cct, Ctz, prevedono una tassazione più favorevole, pari al 12,5%, come i titoli emessi da enti pubblici quali le regioni, le province ed i comuni, le obbligazioni di organismi internazionali quali la World Bank e la Bei, e le obbligazioni di Stati esteri che fanno parte della white list, vale a dire la lista dei Paesi che attuano con l’Italia uno scambio di informazioni.


Obbligazioni societarie. Rientrano in questa categoria i titoli di emittenti privati (corporate e banche) che finanziano il proprio debito a medio e lungo termine. Le società alimentano il vasto mercato dei corporate bond, i cui proventi obbligazionari sono soggetti in Italia all’imposta del 26%.

Libretti e buoni postali. Anche il risparmio postale non è esente: i libretti postali hanno lo stesso trattamento dei conti correnti, quindi 34,2 euro l’anno fissi, mentre i buoni postali pagano il bollo dello 0,2% oltre i 5 mila euro di valore di rimborso (al raggiungimento dei 5 mila euro contribuisce la somma di tutti i buoni sottoscritti con la stessa intestazione). Gli interessi dei buoni sono tassati al 12,5% proprio come le obbligazioni di Stato italiane, mentre i libretti al 26%.

Fondi e sicav. Oltre al bollo sul capitale (0,2%), i rendimenti hanno un prelievo al 26% (al momento della vendita del fondo), ma è previsto un meccanismo di riduzione dell’aliquota per la parte riferibile a investimenti in titoli di Stato o equiparati che sono assoggettati ad aliquota del 12,5%. Quindi se per i comparti azionari l’imposizione è piena, per quanto riguarda i fondi obbligazionari è possibile che l’aliquota scenda fino al 12,5% nel caso abbiano in portafoglio soltanto titoli governativi. Anche i fondi di liquidità sono prodotti obbligazionari perché investono in emissioni a breve scadenza, sia corporate che governative e quindi, a seconda del peso di questi ultimi vedono alleggerire il carico fiscale. Una via di mezzo sono i fondi bilanciati che per via dei loro portafogli esposti sia all’equity sia ai bond possono godere del beneficio se la quota in obbligazioni è rappresentata anche da titoli di Stato. Stesse regole per gli Etf delle varie categorie. Nel caso per esempio di un Etf composto al 25% da titoli di Stato e al 75% da azioni o corporate bond, i redditi calcolati verranno tassati al 12,5% per un quarto e al 26% per i restanti tre quarti.
Polizze di ramo I (gestioni separate). Si tratta dell’attività finanziaria che ha i maggiori vantaggi dal punto di vista della tassazione. Le polizze Vita tradizionali investono principalmente in titoli di Stato e quindi hanno una imposizione minore rispetto al 26% pieno. Inoltre i rendimenti sono tassati solo al momento del disinvestimento, come i fondi. E soprattutto le gestioni separate non pagano l’imposta di bollo dello 0,2%. Ci sono anche benefici sul fronte delle successioni: nelle polizze Vita tradizionali il capitale pagato ai beneficiari non entra a far parte del patrimonio ereditario, non sono previste quindi imposte di successione, dando la possibilità al sottoscrittore di scegliere liberamente a chi destinare il capitale della polizza. Anche una polizza potrebbe essere riportata nell’asse ereditario, ma solo per l’importo dei premi versati che abbiano leso la quota di legittima ovvero la parte dell’eredità riservata dalla legge agli eredi cosiddetti legittimari (il coniuge, i figli e in assenza i loro figli, i genitori) che ricevono una tutela differente rispetto a quella degli altri che hanno un grado di parentela diverso. Infatti, le norme esistenti stabiliscono che una quota di eredità è riservata ai legittimari. Per la parte di patrimonio disponibile, invece, ognuno ha ampia possibilità di disporne come crede: può destinarla agli stessi eredi legittimari, ad altri eredi o anche a soggetti terzi.
Polizze unit linked. Scontano l’imposta di bollo (anche se al momento del riscatto e non anno per anno come per gli altri prodotti finanziari) e il prelievo sui rendimenti prevede lo stesso meccanismo visto per i fondi e gli Etf per quanto riguarda l’applicazione del 12,5% al posto del 26% nel caso di capital gain legati ai titoli di Stato. Anche per le unit linked come per i fondi e le polizze di ramo I il prelievo scatta quando si disinveste (ma se la polizza vita non è finanziaria, ovvero non prevede una componente di investimento ma solo di puro rischio i capitali sono esenti). Altro punto in comune con le gestioni separate è l’esclusione dall’asse ereditario con tutte le regole che ne conseguono. Gli altri strumenti finanziari rientrano invece nell’eredità, a eccezione dei titoli pubblici e dei Pir.

I Pir. Il successo dei Piani Individuali di Risparmio dimostra le potenzialità della leva fiscale per far decollare gli investimenti. I Pir sono esentasse se detenuti per almeno 5 anni fino a un massimo di 150 mila euro investiti a persona (30 mila l’anno è il tetto). Lanciati nel 2017 con per canalizzare il risparmio privato nelle aziende italiane, il Pir è un contenitore che può avere diverse forme: dal fondo alla polizza al deposito titoli. Tra tutti il fondo è stato il veicolo più gettonato. Dal debutto di 4 anni fa le sgr hanno raggiunto un patrimonio di 17 miliardi, anche se i flussi nel 2019 si sono bloccati per via di una modifica alla normativa che ha posto paletti troppo rigidi ai gestori, mentre quest’anno l’andamento incerto del listino di Piazza Affari ha tenuto lontano gli investitori dai fondi specializzati sulla borsa. Una mossa che si è rivelata sbagliata, visto il recupero del listino italiano dai minimi di marzo. (riproduzione riservata)

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