di Marco Capponi
La pandemia non ha modificato soltanto le abitudini di lavoro e la vita sociale degli italiani. Anche il loro stile di investimento è mutato radicalmente e nelle settimane più dure del lockdown, tra fine febbraio e inizio aprile scorsi, gli investitori tricolori hanno cominciato a fare qualcosa di insolito per loro: comprare azioni. Se il rapporto tra acquisti e vendite era stato per tutto il 2019 sbilanciato in favore di queste ultime (si veda la tabella), le sei settimane successive allo scoppio della pandemia hanno mostrato un rovesciamento dei ruoli, con un saldo positivo per 4,5 miliardi di euro e un picco di nuovi investitori superiore alle 4 mila unità. A rivelarlo è la nuova edizione del rapporto Consob sulle scelte d’investimento delle famiglie italiane, presentata ieri via webinar dalle curatrici Nadia Linciano, Paola Soccorso e Monica Gentile con la partecipazione del commissario dell’authority Carmine Di Noia, Magda Bianco (Bankitalia), Delphine Leroy (Commissione Ue), Chiara Monticone (Ocse), Paolo Sironi (Ibm) e la moderazione del direttore di MF-Milano Finanza Roberto Sommella.
Sicuramente una buona notizia, a fronte però di uno scenario non positivo. Per gli italiani la scelta prediletta continua a essere quella di mettere i soldi sotto il materasso, tanto che per quest’anno è prevista una crescita del risparmio precauzionale del 6% dal 10% dello scorso anno. Tra le ragioni che più ostacolano gli investimenti la Consob rileva uno scarso livello di educazione finanziaria: solo il 38% delle risposte fornite dagli intervistati su temi basilari di finanza è corretto, e spesso le persone non conoscono neppure nozioni elementari come il tempo lavorativo che manca loro prima della pensione. Il dato è tanto più preoccupante se si considera che quasi un italiano su due continua a preferire come stile di investimento il fai-da-te, facendo ricorso al consiglio di amici e parenti piuttosto che alla consulenza di una figura professionale, comunque in forte crescita (+11%) rispetto allo scorso anno. «Per fare educazione finanziaria bisogna stimolare la domanda», ha affermato Monica Linciano, aggiungendo che «è necessario innalzare la motivazione delle persone a investire, anche affrontando i trend emergenti». Primo tra tutti quello dei prodotti sostenibili e socialmente responsabili. Nonostante il loro valore censito da Borsa Italiana sia in crescita esponenziale da anni, meno del 30% degli investitori dichiara di conoscerli. Eppure il loro immenso valore intrinseco: il 40% del campione infatti li userebbe per fare del bene e solo il 23% per gli aspetti finanziari.
C’è poi un’altra sfida importante su cui si focalizza il report: la digitalizzazione. «L’attitudine verso gli strumenti fintech è positiva, ma l’attività rimane molto bassa», ha commentato Paola Soccorso, imputando la diffidenza degli investitori soprattutto al timore di frodi. Eppure strumenti come crowdfunding, robo-advice e trading online potrebbero incentivare un comportamento virtuoso, tanto più che, secondo il campione, la possibilità di investire piccole somme propria di questi prodotti è seconda solo a un sistema di benefici fiscali come potenziale spinta a togliere i risparmi dal materasso e investirli. Anche perché, ha sottolineato Di Noia, dare la facoltà a tutti di investire è un argomento, prima che economico, di equità sociale: «Bisogna ripensare al concetto di trade-off tra rischio e investimento: non si possono lasciare certi prodotti solo a individui ricchi o professionisti». La soluzione? Una vigilanza positiva e non negativa: perché «un mercato privo di scambio non protegge l’economia né gli investitori». (riproduzione riservata)
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