di Francesco Bertolino
La crisi rallenta l’innovazione dell’economia italiana, ampliando il divario fra multinazionali e pmi. Secondo l’edizione 2020 dell’indagine sugli investimenti della Bei, che MF-Milano Finanza ha consultato in anteprima, il 41% delle aziende ha intenzione di ridurre i piani di spesa per il 2020. Un quarto li abbandonerà del tutto o quantomeno li rinvierà. Nel settore manifatturiero, uno dei più colpiti e dei più strategici per il Paese, una società su due prevede di diminuire l’entità degli investimenti. Il taglio è frutto della preoccupazione per il futuro che spinge le società ad accumulare liquidità nel timore di dover affrontare nuovi shock, anche a costo di sacrificare trasformazione digitale e sostenibilità. «La pandemia rischia di compromettere la capacità di affrontare le sfide del XXI secolo», spiega il vicepresidente della Bei Dario Scannapieco, «c’è bisogno di un’azione congiunta a livello europeo per superare l’incertezza in quanto fattore che condiziona le società italiane più di quelle di altri Paesi».
La consapevolezza dei cambiamenti epocali in atto nell’industria non manca. Nel 2019 due terzi delle imprese italiane hanno adottato almeno una tecnologia d’avanguardia (stampanti 3D, internet delle cose, droni, piattaforme, robotica avanzata, realtà aumentata o virtuale). Inoltre, il 63% delle società sondate dalla Bei ritiene che la propria attività abbia subito danni dai cambiamenti climatici: il 23% ha addirittura parlato di «impatto rilevante». Nel 2019, così, gli investimenti in digitalizzazione e sostenibilità delle imprese italiane sono stati in linea con la media europea, benché il totale resti del 37% inferiore ai livelli toccati nel 2008, prima della crisi finanziaria. Il pericolo è che il blackout si ripeta con la crisi pandemica che ha prosciugato le fonti di finanziamento interno, sinora primo canale d’investimento per il 55% delle aziende. Nell’emergenza, infatti, la garanzia pubblica si è rivelata efficace nell’assicurare la liquidità di sopravvivenza alle imprese, mantenendo aperto il canale del credito bancario. Per spingere la ripresa bisognerà tuttavia incentivare l’accesso a strumenti di finanziamento alternativi. «Nel breve periodo i prestiti sono stati determinanti per consentire la prosecuzione delle attività, ma nel lungo periodo rischiano di aumentare i livelli di indebitamento, compromettendo la capacità di investimento», osserva Debora Revoltella, Capo economista della Bei, «le imprese italiane, specie quelle di minori dimensioni, restano sottocapitalizzate e banco-centriche, mentre capitale di rischio e fonti di finanziamento simili all’equity operano spesso da acceleratori dei processi aziendali innovativi». D’altra parte «le grandi aziende possono fare da traino e supportare le filiere nella digitalizzazione e nella sostenibilità, obiettivi strettamente connessi», conclude Revoltella, «perché l’operazione abbia successo serve però un’opera di riqualificazione della forza-lavoro e d’ammodernamento dell’infrastrutture: gli investimenti pubblici devono completare quelli privati». (riproduzione riservata)
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