Definito il piano per difendere il sistema economico in caso di lockdown, con una partecipazione del 50% tra settore privato e pubblico. Restano i nodi su obbligatorietà e famiglie
di Anna Messia
La proposta dell’Ania per coprire i rischi legati alla pandemia è pronta e la presidente dell’associazione che rappresenta le compagnie di assicurazione, Maria Bianca Farina, nei giorni scorsi l’ha presentata all’esecutivo guidato da Giuseppe Conte. La speranza, non troppo velata, è di poter affrontare la questione già nella prossima Legge di Bilancio visto che gli emendamenti del governo e dei relatori sono attesi in settimana, attingendo magari in prospettiva anche alle ingenti risorse del Recovery Fund.
Da parte loro le assicurazioni italiane, come avevano annunciato al mercato, hanno mantenuto la promessa e si sono messe sedute intorno ad un tavolo con team di esperti (economisti, virologi e infettivologi) con l’obiettivo di presentare al governo un progetto che fosse finanziariamente sostenibili per farsi trovare pronti davanti a fenomeni globali e devastanti come la pandemia da coronavirus. In ballo, come ha dimostrato la cronaca di questi mesi, ci sono perdite enormi che si registrano in caso di lockdown e che non possono essere sostenute dal solo sistema assicurativo, visto che sono generalizzate e trasversali praticamente a tutti i settori economici. La questione ha riguardato gli altri Paesi europei perché in Italia le polizze che coprono le imprese dal rischio di interruzione di attività (anche non legate alla pandemia) hanno, nel bene e nel male, un ruolo residuale, con appena il 3% delle pmi che hanno acquistato polizze contro questi rischi.
Ma i numeri, in caso di una diffusione a tappeto, sono impressionanti, con i riassicuratori di Swiss Re che hanno calcolato che i sinistri generati da tre mesi di blocco dette attività per lockdown corrispondono a 100 anni di premi assicurativi. Il progetto presentato dall’Ania ipotizza quindi una partecipazione alle perdite equamente suddivisa tra i privati e lo Stato. «Abbiamo visto che l’industria privata da sola non poteva farcela e non tanto perché il rischio presentava una richiesta di premi assicurativi troppo forti, ma perché non ce la faceva per questioni di capitalizzazione», ha spiegato Farina parlando della questione nel corso del Rome Investment Forum 2020 organizzato da Febaf nei giorni scorsi e aggiungendo che il rischio pandemico è definito da alcuni come rischio non assicurabile, perché non è diversificabile.
«Noi però non ci siamo voluti fermare a questi assunti, perché eravamo sicuri che una strada bisognava cercarla», ha continuato Farina, e la soluzione è arrivata. «Abbiamo pensato a una partecipazione tra privato e pubblico al 50%, che andrebbe a calare nella parte pubblica man mano che gli assicuratori incassano i premi», ha aggiunto spiegando che l’ipotesi base sviluppata dall’associazione prevedeva «un premio assicurativo di 1,2 miliardi di euro, che non spaventa nessuno, ma un’esposizione di 24 miliardi. Se la pandemia fosse avvenuta il giorno dopo, il settore assicurativo non avrebbe avuto la possibilità di mettere in pista immediatamente quella cifra».
Con una programmazione a medio-lungo termine la questione diventa però più gestibile. Resta a questo punto da capire come proporre la copertura, se con un obbligo di sottoscrizione della polizza (più difficile da digerire politicamente) o con incentivi fiscali, ma bisogna anche definire il panorama assicurabile. In Francia, dove stavano ragionando solo sulle imprese, prevedendo incentivi fiscali per accantonare risorse da utilizzare nel caso di una pandemia, hanno dovuto fare i conti con le scarse disponibilità delle imprese più piccole, magari già fiaccate dalla crisi. Nel caso dell’Ania l’ipotesi sarebbe di coinvolgere un universo ben più ampio che possa tirare in ballo anche famiglie o pensionati che verrebbero tutelate con rimborsi (diarie) nel caso in cui venissero colpiti dal virus. Ma anche su questo fronte la questione, ora, è tutta politica. (riproduzione riservata)
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