Pagina a cura di Stefano Loconte e Giulia Maria Mentasti
Nella (rin)corsa al 110% attenti a non inciampare, tra i vari ostacoli di documenti e certificazioni, in un reato: e il primo monito va ai professionisti. Infatti, vista l’importanza che assumono nel procedimento, è necessario interrogarsi sulla natura delle varie attestazioni previste dal legislatore e sui possibili risvolti penali derivanti nel caso in cui queste abbiano carattere mendace.

Le dichiarazioni previste per il bonus. La normativa descrive diverse dichiarazioni aventi natura certificativa o attestativa, quali l’Ape, attestato di prestazione energetica, indicata dall’art. 119 comma 3 decreto Rilancio, il visto di conformità, di cui al comma 11, e le asseverazioni previste nelle lett. a) e b) del c. 13 della stessa disposizione.

Quanto all’Ape, così come definito dall’art. 2 lett. l-bis dlgs 192/2005, si tratta di una dichiarazione asseverata con la quale un tecnico abilitato attraverso il calcolo di parametri derivanti da una serie di fattori normativamente stabiliti, attesta la prestazione energetica dell’edificio.

Il tecnico deve essere «iscritto ai relativi ordini e collegi professionali, ove esistenti, e abilitato all’esercizio della professione relativa alla progettazione di edifici e impianti asserviti agli edifici stessi, nell’ambito delle specifiche competenze a esso attribuite dalla legislazione vigente» (art. 2 c. 3), oppure «in possesso di un titolo di abilitazione professionale e di un attestato di frequenza, con superamento dell’esame finale, relativo a specifici corsi di formazione per la certificazione energetica degli edifici». A norma dell’art. 15 dlgs 192/2015, l’Ape (e le altre dichiarazioni indicate nel decreto) sono resi in forma di dichiarazione sostitutiva di atto notorio ai sensi dell’art. 47 dpr 445/2000.

Quanto invece al il visto di conformità, regolato dall’art. 35 dlgs 241/1997, è definibile come una asseverazione della corrispondenza tra i dati dichiarati in una certa dichiarazione contributiva e la documentazione e le risultanze contabili, e viene predisposto dai professionisti indicati dalle lett. a) e b) di cui all’art. 3 c. 3 dpr 322/1998 (commercialisti, ragionieri ecc.), e dai responsabili dell’assistenza fiscale dei Caf.

Venendo poi alle asseverazioni indicate dalla lett. a) del c. 13 dell’art. 119, hanno invece a oggetto il rispetto dei requisiti tecnici previsti dai decreti di cui all’art. 14 comma 3-ter dl 63/2013, ovvero la norma che, alla rubrica «Detrazioni fiscali per interventi di efficienza energetica» e mediante rinvio a decreti attuativi, regola i requisiti tecnici che devono soddisfare gli interventi per beneficiare delle agevolazioni indicate dallo stesso articolo. Devono essere anche in questo caso redatte da un «tecnico abilitato», la cui definizione è ricavabile da diverse norme di settore, accomunate dal prevedere una particolare abilitazione tecnica, l’iscrizione a un ordine o a un collegio professionale. Come previsto dal dm c.d. «Asseverazioni» del 3 agosto 2020, pubblicato in G.U. il 6 ottobre, è altresì imposta la forma della dichiarazione sostitutiva di atto notorio, ai sensi dell’art. 47 dpr 445/2000.

Infine, in tema di interventi per la riduzione del rischio sismico di cui alla lett. b) del c. 13 art. 119 del decreto, le specifiche asseverazioni (rischio sismico pre e post intervento, conformità degli interventi eseguiti al progetto presentato) devono analogamente essere effettuate da «professionisti incaricati della progettazione strutturale, della direzione dei lavori delle strutture e del collaudo statico».

Servizi di pubblica necessità? Per inquadrare quale reato sarà contestato nel caso di falsità avente a oggetto una delle attestazioni, dirimente è la natura delle stesse: come predetto, la legge impone infatti il vaglio di un soggetto dotato di una qualifica professionale, ovvero di una particolare abilitazione o dell’appartenenza a un ordine professionale. In altre parole, quello che il dettato normativo richiede è il possesso di quelle caratteristiche proprie dei soggetti che esercitano un servizio di pubblica necessità, ovvero di quei privati che attendono ad attività estranee a quelle tipiche della pubblica amministrazione, ma in ogni caso di interesse pubblico e dunque, secondo la definizione di cui all’art. 359 c.p., svolgono «altre professioni (diverse dalle professioni forense e sanitaria) il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato quando dell’opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi».

Ma cosa rischiano i professionisti in caso di dichiarazioni mendaci? L’art. 481 c.p. punisce con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 51 a euro 516 proprio chi, nell’esercizio di una professione sanitaria o forense, o di un altro servizio di pubblica necessità, attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità. Questa, pertanto, la fattispecie di reato che, quantomeno a un primo sguardo, pare senza dubbio applicabile nel caso in esame, considerato che gli atti non sono destinati a essere trasfusi in un atto pubblico, costituendo solo il presupposto per la dichiarazione fiscale e fungendo da eventuale documento probatorio ove richiesto dall’amministrazione.

Quale reato in caso di falsità. Al contrario, laddove la dichiarazione del privato sia diretta a un pubblico ufficiale e sia destinata ad integrare l’atto pubblico, la norma (più grave) di riferimento è l’art. 483 c.p., che punisce, con la reclusione fino a due anni, chi attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità.

Ecco allora a fare attenzione: infatti l’Ape. e le asseverazioni richieste per gli interventi di cui all’art. 119 c. 1, 2 e 3 decreto Rilancio devono essere redatte nelle forme e agli effetti descritti dall’art. 47 dpr 445/2000, ossia quali dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà.

A propria volta, l’art. 76 comma 3 del menzionato dpr (richiamato dal dm «Asseverazioni») precisa che le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi dell’art. 47 si devono considerare come fatte al pubblico ufficiale in atto pubblico: ma la conseguenza derivante da questa equiparazione normativa sarà che il falso ideologico commesso dal tecnico abilitato, essendo considerato come destinato ad un pubblico ufficiale, assumerà rilievo ai sensi dell’art. 483 c.p. avendo la stessa dichiarazione ex lege valenza probatoria privilegiata. Peraltro, il medesimo art. 76 al comma 1 prevede che «la sanzione ordinariamente prevista dal codice penale è aumentata».

Meno rigido, anche se pur sempre penalmente rilevante, il quadro relativo al visto di conformità (e le attestazioni relative agli interventi antisismici), poiché, non essendo normativamente previsto che debbano essere prodotti nella forma della dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio, gli autori potranno essere chiamati a rispondere solo del delitto di falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità, e non di altra più grave ipotesi delittuosa.

Infine, quanto alla relazione tra l’illecito penale e quello amministrativo previsto dall’art. 119 c. 14 decreto, che punisce il rilascio di attestazioni o asseverazioni infedeli, la clausola di salvaguardia «Ferma l’applicazione delle sanzioni penali ove il fatto non costituisca reato» comporta che la sanzione penale e quella amministrativa non possono concorrere, e l’illecito amministrativo troverà pertanto applicazione solo nei casi in cui non vi sia il reato, come nel caso di assenza di dolo e di mero errore nell’asseverazione.

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