Superato l’orientamento formatosi sotto la previgente codificazione in base al quale era da escludersi il relativo obbligo per il notaio rogante in assenza di espresso e specifico incarico al riguardo, si è da epoca ormai risalente affermato che ove richiesto della stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare il medesimo è tenuto al compimento delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti, e in particolare all’effettuazione delle c.d. visure catastali e ipotecarie, allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà.

La sussistenza di tale obbligo è stata dalla giurisprudenza di legittimità dapprima argomentata dal combinato disposto di cui all’art. 2913 c.c. e art. 28 L.N., in ragione della funzione pubblica del notaio, ovvero da quello di cui agli artt. 4 (secondo cui alle domande di voltura debbono essere acquisiti i certificati catastali) e 14 (che fa obbligo al notaio di chiedere la voltura) D.P.R. n. 640 del 1972, in base al quale il notaio è tenuto ad espletare attività di verifica catastale ed ipotecaria volta ad accertare la condizione giuridica ed il valore di un immobile, da tenersi distinta dalla normale indagine giuridica occorrente per la stipulazione dell’atto.

Successivamente, rimasta invero priva di seguito nella giurisprudenza di legittimità la tesi dottrinaria riconducente tale obbligo all’uso negoziale ex art. 1340 c.c. (da provarsi da colui che l’invoca), nel sottolinearsi che l’opera professionale di cui è richiesto il notaio non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di direzione nella compilazione dell’atto ma si estende alle attività preparatorie e successive volte ad assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto e del risultato pratico perseguito dalle parti, la fonte dell’obbligo in argomento è stata ravvisata nella diligenza che il notaio è tenuto a osservare nell’esecuzione del contratto d’opera professionale.

La responsabilità del notaio, si è altresì precisato, rimane esclusa solamente in caso di espresso esonero – per motivi di urgenza o per altre ragioni – da tale incombenza, con clausola inserita nella scrittura, da considerarsi pertanto non già meramente di stile bensì quale parte integrante del contratto, sempre che appaia giustificata da esigenze concrete delle parti.

Quand’anche sia stato esonerato dalle visure, si è ulteriormente sottolineato, il notaio che sia a conoscenza o che abbia anche solo il mero sospetto della sussistenza di un’iscrizione pregiudizievole gravante sull’immobile oggetto della compravendita deve in ogni caso informarne le parti, essendo tenuto all’esecuzione del contratto di prestazione d’opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata di cui all’art. 1176 c.c., comma 2, e della buona fede.

Orbene, a parte il rilievo che una limitazione della misura dello sforzo diligente dovuto nell’adempimento dell’obbligazione, e della conseguente responsabilità per il caso di relativa mancanza o inesattezza, non può farsi in ogni caso discendere dalla qualificazione della prestazione dovuta dal notaio in termini di obbligazione di mezzi, va al riguardo osservato come la fonte dell’obbligo per il notaio rogante di effettuare le visure in questione debba invero propriamente ravvisarsi non già nella diligenza professionale qualificata (la quale non può essere comunque intesa in termini deponenti per la limitazione della responsabilità del professionista, e del notaio in particolare, in caso di prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (nella specie invero nemmeno dedotti come sussistenti), in quanto l’art. 2236 c.c. non contempla un’ipotesi di responsabilità attenuata e non esonera affatto il professionista-debitore da responsabilità nel caso di insuccesso di prestazioni complesse, ma si limita a dettare un mero criterio per la valutazione della sua diligenza, sicchè la diligenza esigibile dal professionista nell’adempimento delle obbligazioni assunte nell’esercizio delle sua attività è una diligenza speciale e rafforzata, di contenuto tanto maggiore quanto più sia specialistica e professionale la prestazione richiesta) bensì nella clausola generale (nell’applicazione pratica e in dottrina indicata anche come principio o come criterio) di buona fede oggettiva o correttezza ex artt. 1175 c.c.

Come osservato anche in dottrina, oltre che regola (artt. 1337,1358,1375 e 1460 c.c.) di comportamento (quale dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 Cost. che trova applicazione a prescindere alla sussistenza di specifici obblighi contrattuali, in base al quale il soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso, nonchè volto alla salvaguardia dell’utilità altrui nei limiti dell’apprezzabile sacrificio, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità.

La buona fede oggettiva o correttezza è infatti anche criterio di determinazione della prestazione contrattuale, costituendo invero fonte – altra e diversa sia da quella eteronoma suppletiva ex art. 1374 c.c. che da quella cogente ex art. 1339 c.c. – di integrazione del comportamento dovuto, là dove impone di compiere quanto necessario o utile a salvaguardare gli interessi della controparte, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio (che non si sostanzi cioè in attività gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici, come ad esempio in caso di specifica tutela giuridica, contrattuale o extracontrattuale, non potendo considerarsi implicare financo l’intrapresa di un’azione giudiziaria, anche a prescindere dal rischio della soccombenza.

L’impegno imposto dall’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza va quindi correlato alle condizioni del caso concreto, alla natura del rapporto, alla qualità dei soggetti coinvolti.

L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza è infatti da valutarsi alla stregua della causa concreta dell’incarico conferito al professionista dal committente, e in particolare al notaio, e cioè con lo scopo pratico dalle parti perseguito mediante la stipulazione, o, in altre parole, con l’interesse che l’operazione contrattuale è propriamente volta a soddisfare.

L’obbligo di effettuare le visure ipocatastali incombe allora senz’altro al notaio officiato della stipulazione di un contratto di trasferimento immobiliare anche in caso di utilizzazione della forma della scrittura privata autenticata.

Cassazione civile sez. III, sentenza del 29/08/2019 n. 21775

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