Il welfare state italiano continua ad essere in profonda sofferenza. A causa degli scarsi investimenti pubblici in ambito sociale e dei complessi mutamenti socio-demografici in atto, Stato, Regioni e Comuni faticano a risponde efficacemente alle necessità vecchie e nuove dei cittadini. Al contempo, tuttavia, cresce e si rinforza la schiera degli attori privati – sia profit che non profit – che, spesso lavorando insieme attraverso alleanze inedite, intervengono sussidiariamente in quelle aree di bisogno lasciate parzialmente o totalmente scoperte dal Pubblico. Una dinamica sempre più ampia e complessa, che sta cominciando a influenzare anche attività, ambiti e politiche apparentemente lontane dai “classici” confini del welfare.
Sono alcuni degli elementi che emergono dal Quarto Rapporto sul secondo welfare in Italia, documento biennale realizzato da Percorsi di secondo welfare, Laboratorio afferente al Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi di Torino e realizzato in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, che analizza le principali dinamiche sociali in atto nel nostro Paese ponendo particolare attenzione a esperienze innovative messe in atto da imprese, parti sociali, enti del Terzo Settore e gruppi di cittadini. Il volume, curato da Franca Maino e Maurizio Ferrera, si intitola “Nuove Alleanze per un welfare che cambia” (Giappichelli Editore, 304 pp.) ed esplora cambiamenti, esperienze concrete e prospettive di un settore fondamentale per la vita dei cittadini, ma troppo spesso oggetto di letture ideologiche piuttosto che di analisi che tengano conto della complessità dei dati a disposizione.
Il Quarto Rapporto sul secondo welfare in Italia è stato presentato lunedì 25 novembre a Milano presso il Centro Congressi di Fondazione Cariplo nel corso di un convegno pubblico. L’evento è stato aperto da Beppe Facchetti, Presidente del Centro Einaudi; a seguire Franca Maino, direttrice di Percorsi di secondo welfare, e i ricercatori Federico Razetti, Chiara Lodi Rizzini e Chiara Agostini hanno illustrato i principali contenuti del Rapporto. Su questi ultimi si sono quindi confrontati Giovanni Fosti, Presidente di Fondazione Cariplo, Claudia Fiaschi, Portavoce del Forum Terzo Settore, Emmanuele Massagli, Presidente di AIWA, e Marisa Parmigiani, Direttrice di Fondazione Unipolis. A concludere l’evento, moderato da Elisabetta Soglio di Corriere Buone Notizie, è stato Maurizio Ferrera, Scientific Supervisor di Percorsi di secondo welfare e docente dell’Università degli Studi di Milano.
La Grande Trasformazione 2.0 e le difficoltà del welfare state
Nei Paesi avanzati sono in atto grandi cambiamenti che riguardano il mondo produttivo, i mercati, l’organizzazione del lavoro, le relazioni sociali e, più in generale, l’intera struttura sociodemografica. Le società europee stanno attraversando un periodo simile a quello vissuto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento – che Karl Polanyi definì la “Grande Trasformazione” – da cui però, non senza tensioni e difficoltà, nacque il welfare state. Proprio questa istituzione simbolo degli Stati europei da alcuni anni sembra patire in modo particolare le tensioni derivanti da austerità, instabilità politica, invecchiamento della popolazione e vari altri fattori esogeni ed endogeni.
Il welfare state italiano, in particolare, oggi è contraddistinto da un forte disallineamento: da un lato vi sono eccessi di protezione per alcune categorie già tutelate, dall’altro si registrano vistosi deficit in diversi campi: la debolezza delle politiche per la famiglia, le misure di assistenza in caso di non autosufficienza, le azioni di contrasto alla povertà; soprattutto educativa. Da dove si può dunque partire per governare questa “Grande Trasformazione 2.0”?
Dai fiori all’albero: il secondo welfare sta crescendo
Una strada che in questi anni si è dimostrata percorribile è quella del “secondo welfare”, ovvero quell’insieme di interventi sociali di natura non pubblica messi in campo da soggetti privati, profit e non profit, che a vario titolo intervengono laddove lo Stato fatica ad arrivare. Un concetto nato quasi per caso, che però nel corso degli anni ha dimostrato la sua capacità descrittiva e interpretativa. Oggi il secondo welfare appare ormai un fenomeno maturo, alimentato da numerosi attori che a vario titolo sono impegnati a sviluppare interventi e misure in favore dei cittadini, specialmente quelli colpiti da nuovi bisogni legati a povertà, precarietà lavorativa, difficoltà di conciliazione famiglia-lavoro, aumento della non autosufficienza.
Quando quasi dieci anni fa si iniziò a parlare di secondo welfare venne usata la metafora dei “cento fiori” che in maniera spontanea e apparentemente casuale stavano nascendo nel campo del welfare nazionale. Oggi sembra più adeguato parlare di un vero e proprio albero. Una pianta radicata in un terreno fertile – le ormai numerosissime reti multiattore presenti a livello locale -, con un tronco solido – i cui “anelli” sono l’apertura a soggetti non-pubblici, innovazione sociale e empowerment -, che ha rami sempre più lunghi – le varie declinazioni del secondo welfare: contrattuale, comunitario, filantropico, confessionale, etc. – e chiome più o meno folte – i tantissimi attori impegnati nello sviluppo di nuove iniziative di welfare (imprese, parti sociali, enti del terzo settore, etc.).
I numeri della crescita
A confermare la crescita di questo albero ci sono anzitutto i numeri contenuti nel Quarto Rapporto sul secondo welfare relativi ai molteplici ambiti in cui questo si sviluppa. Di seguito si segnalano alcuni dei dati relativi alle principali declinazioni individuate all’interno della ricerca (approfonditi ampiamente nel Capitolo 2 del Rapporto).
Nel campo del welfare occupazionale, in cui si collocano quegli interventi privati di protezione sociale ricevuti dagli individui in ragione della loro condizione lavorativa – attraverso varie forme di welfare contrattato e welfare aziendale – si assiste ad esempio all’importante affermazione dei fondi sanitari e previdenziali. Ad oggi i fondi sanitari integrativi sono 322, contano 10,6 milioni di iscritti e nel 2018 hanno coperto prestazione per circa 2,3 miliardi €; i 33 fondi previdenziali negoziali contano invece circa 3 milioni di iscritti per un patrimonio complessivo di 51,7 miliardi €.
Guardando più nel dettaglio, anche il welfare contrattato si contraddistingue per numeri importanti: tra il 27,2% e il 32% dei Contratti Collettivi Nazionali garantiscono forme di protezione sociale messe in campo dalle imprese a favore dei lavoratori, mentre il 53% dei contratti che prevedono premi di risultato permettono la conversione in welfare aziendale. Su questo fronte è inoltre da segnalare la vitalità dei provider di servizi: le società aderenti ad AIWA (Associazione Italiane Welfare Aziendale) nel 2018 hanno servito quasi 2 milioni di lavoratori e (al netto dei contributi per fondi sanitari, fondi pensioni e mense) hanno caricato sulle proprie piattaforme quasi 750 milioni di euro di “budget welfare”.
Anche il welfare assicurativo, sempre più ricorrente nelle offerte di compagnie assicuratrici e istituti di credito, si conferma una parte importante del secondo welfare. Ad oggi sul fronte della sanità integrativa si contato 700 milioni € di polizze individuali e circa 2 miliardi € di polizze collettive, mentre nel campo della previdenza complementare privata (esclusi i sopra citati fondi negoziali) i fondi aperti e preesistenti contano 2,1 milioni di adesioni e un patrimonio di 79 miliardi €; i piani individuali raggiungono invece 3,6 milioni di adesioni per un valore di circa 37 miliardi €.
A destare particolare interesse sono poi le dimensioni assunte dal welfare comunitario, cioè quelle iniziative messe in campo a livello locale grazie alla sinergia, in particolare, tra organizzazioni del Terzo Settore ed enti locali volte a favorire la coesione sociale mobilitando risorse – economiche e non – presenti sui territori. Il Terzo Settore, in particolare, si conferma ampio e strutturato, con oltre 350.000 istituzioni e circa 850.000 addetti, così come il mondo cooperativo che pur rappresentando solo l’1,3% delle imprese italiane (59.000 realtà) raccoglie oltre il 7,1% degli occupati (1,2 milioni) e rappresenta il 4% del valore aggiunto (28,6% miliardi €) prodotto nel Paese. Da segnalare è anche il ruolo crescente delle 524 Società di Mutuo Soccorso presenti nel Paese: soggetti solo in apparenza appartenenti a un passato lontano e che nel solo 2018 hanno garantito prestazioni sociali di vario genere a ben 953.000 soci.
Anche il welfare confessionale riconducibile a varie diramazioni della Chiesa Cattolica conferma la propria vivacità. Nel 2018 attraverso gli oltre 3.364 centri di ascolto sparsi per tutto il Paese, la Caritas Italiana ha messo in campo 208.000 interventi diretti e garantito oltre 1 milione di erogazioni di beni e servizi grazie a uno stanziamento tutto sommato modesto (39 milioni di €) a cui va però aggiunto l’enorme contributo messo in campo da fedeli e volontari di parrocchie e diocesi. Da richiamare è, in particolare, un’esperienza che in questi anni si è diffusa in tutto il Paese proprio su impulso della Caritas: i 178 empori solidali che lo scorso anno hanno aiutato oltre 100.000 persone in difficoltà economica.
Da ultimo, ma non meno importante, è il ruolo crescente del cosiddetto welfare filantropico collegato a diverse fondazioni operative nel nostro Paese, come le Fondazioni di origine bancaria – che nel 2018 hanno garantito erogazioni per oltre 1 miliardo €, di cui quasi la metà dedicate all’ambito welfare; alle 111 Fondazioni di impresa mappate da Percorsi di secondo welfare attraverso un’indagine ad hoc svolta insieme a Fondazione Bracco e Fondazione Sodalitas; alle 40 Fondazioni comunitarie operanti a livello locale in varie aree della Penisola.
Oltre i numeri: dimensioni e dinamiche evidenziate dal Rapporto
Seppur importanti, questi numeri non possono tuttavia spiegare compiutamente le importanti dinamiche in atto nel secondo welfare italiano. Un numero crescente di rischi e bisogni sociali che riguardano i cittadini richiedono servizi mirati e forme di sostegno e accompagnamento personalizzato che le amministrazioni pubbliche fanno fatica a realizzare e, prima ancora, a progettare. È proprio su questi fronti che il secondo welfare è maggiormente impegnato. E tale impegno non ha solo una valenza funzionale, ma anche politico-sociale. Nella sfera del secondo welfare si stanno infatti sperimentando dinamiche nuove di articolazione e aggregazione degli interessi, che promuovono e facilitano il “ri-ancoramento” tra istituzioni e società e danno forma concreta e coerente al pluralismo sociale.
In questo senso i Capitoli del Rapporto, attraverso analisi riguardanti varie problematiche emergenti a livello sociale, offrono spunti di riflessione importanti su quanto sta accadendo in Italia lungo i vari fronti sopra citati da un punto di vista della governance delle politiche, dell’impatto sociale generato dalle misure messe in campo e delle prospettive di sviluppo futuro.
Il Capitolo 1, curato da Franca Maino e Federico Razetti, offre una rivisitazione del concetto di secondo welfare, delinea sinergie e incastri con il welfare pubblico, approfondisce il ruolo assunto da attori, associazioni intermedie e reti, dà conto delle principali sfide a cui è sottoposto il welfare state e le difficoltà di quest’ultimo a tenere sotto controllo la spesa e a ricalibrare gli interventi tra settori iper-protetti e ambiti ancora sotto-tutelati. A corredo di queste riflessioni sono proposti diversi dati contenuti nel Capitolo 2, già citati poco sopra.
La seconda parte del Rapporto è invece dedicata ad approfondire alcune aree emblematiche in cui il secondo welfare è andato consolidandosi negli ultimi anni. Sul fronte del welfare occupazionale, Elena Barazzetta e Valentino Santoni nel Capitolo 3 analizzano il ruolo giocato dalle parti sociali e dalla contrattazione di primo e secondo livello, evidenziando come il welfare aziendale possa rappresentare una leva strategica nell’evoluzione e innovazione della contrattazione in ambito sindacale, garantendo importanti benefici a lavoratori e imprese. Il Capitolo 4, scritto da Federico Razetti e Valentino Santoni, approfondisce invece le dinamiche in corso nel mercato del welfare aziendale concentrandosi sul ruolo esercitato dai provider e sulla loro funzione di intermediazione fra domanda e offerta – fra bisogni e risposte – nel campo del welfare occupazionale. La rilevanza dei provider di welfare aziendale è andata crescendo proprio in virtù di questo ruolo di intermediari e facilitatori, divenendo soggetti di riferimento per le imprese che desiderano strutturare piani di welfare per i propri dipendenti.
Il Capitolo 5, scritto da Luca Cigna, affronta il tema dell’educazione finanziaria e dei nessi che questa ha sviluppato con il secondo welfare. Oltre a inquadrare questa dimensione che negli ultimi mesi ha assunto una crescente visibilità nel dibattito pubblico, il Capitolo analizza sei progetti esemplari in base a quattro dimensioni (capacità di rete; innovazione sociale; empowerment dei destinatari; scalabilità) al fine di capire se e come questi siano stati efficaci.
Il Rapporto offre quindi un focus sulle dinamiche che riguardano la filantropia italiana. In tal senso Chiara Lodi Rizzini, Orlando De Gregorio e Franca Maino nel Capitolo 6 approfondiscono il ruolo delle Fondazioni di impresa in un’ottica comparata, identificando le principali caratteristiche, i settori e le modalità di intervento di queste realtà; il Capitolo identifica quindi ostacoli e possibili scenari di sviluppo per le Fondazioni corporate, chiamate ad adottare un approccio sempre più strategico per realizzare i propri interventi. Il Capitolo 7, scritto da Elisabetta Cibinel, è invece dedicato alle Fondazioni di origine bancaria, attori centrali nella promozione delle politiche sociali e di sviluppo locale. Il loro ruolo nel campo dell’innovazione sociale è ormai riconosciuto dalla letteratura e ha trovato numerose conferme nelle sperimentazioni realizzate nel corso degli ultimi anni. Prendendo spunto da una ricerca sulla disabilità intellettiva condotta dal nostro Laboratorio per Fondazione CRC di Cuneo, il capitolo si propone di indagare le sfide incontrate dalle FOB nella promozione del cambiamento, analizzando il loro ruolo nella sperimentazione dell’innovazione sociale nei contesti locali.
I restanti capitoli sono dedicati ad approfondire due specifiche aree di policy orientate all’inclusione dei segmenti più vulnerabili della popolazione: il contrasto alla povertà e la filiera dell’accoglienza dei migranti a livello locale. Chiara Agostini nel Capitolo 8 si concentra sull’esperienza di “QuBì – La ricetta contro la povertà infantile”: un programma promosso a Milano da Fondazione Cariplo e altri attori istituzionali per affrontare il tema della povertà attraverso una strategia integrata che prevede lo stanziamento di 25 milioni €. Il Capitolo affronta in particolare le iniziative realizzate grazie a Al bando le povertà, uno dei primi tasselli del programma, che ha attivato reti composite di attori pubblici e privati operanti in diversi quartieri del capoluogo milanese. Il Capitolo 9, curato da Orlando De Gregorio, dopo aver delineato il difficile consolidamento del sistema di accoglienza dei migranti richiedenti protezione e asilo e le caratteristiche che i Cas hanno assunto negli ultimi anni, analizza due casi virtuosi realizzati in Piemonte, in Val Susa e nel Canavese. Il Capitolo infine evidenzia problemi e possibili ripercussioni derivanti dalle scelte assunte dal Governo Conte I con i Decreti Sicurezza e la Legge di Stabilità 2019.
Dove va il welfare italiano: cosa ci dice il Quarto Rapporto
Il Capitolo 10 curato da Franca Maino e Maurizio Ferrera identifica infine gli elementi trasversali alle dinamiche approfondite nel Rapporto e offre alcune ipotesi sugli sviluppi che ci attendono nei prossimi anni. In primo luogo, l’attivismo degli attori del Mercato e del Terzo Settore non è confinato in un compartimento stagno, ma è sempre più strettamente collegato alle istituzioni pubbliche. Queste, specialmente a livello locale, promuovono con crescente frequenza iniziative sinergiche per intervenire nelle aree di bisogno giudicate più urgenti, cercando il coinvolgimento dei privati che a vario titolo possono contribuire a sviluppare azioni adeguate ad affrontarle.
In secondo luogo, le attività messe in campo dagli attori del secondo welfare si caratterizzano per l’obiettivo – più o meno consapevole – e la capacità – più o meno riuscita – di generare innovazione sociale: offrendo nuovi beni e servizi; modificando (o creando) modelli di governance più sistematici sul piano delle linee di intervento e più attrezzati per coordinarne l’attuazione; sperimentando risposte innovative all’altezza dei nuovi bisogni, calibrate sulle loro manifestazioni contingenti e “localizzate”.
Da ultimo, le iniziative di secondo welfare non solo s’incentrano sui servizi, ma hanno interiorizzato la logica dell’empowerment dei beneficiari, incentivando – con intensità variabile – partecipazione, responsabilizzazione e co-progettazione, e dove possibile anche co-produzione, co-gestione e cofinanziamento dei servizi stessi.
Nella sfera del secondo welfare si stanno inoltre strutturando nuove funzioni e nuove forme di intermediazione, spesso in capo ad attori collettivi che maturano un interesse a stabilizzare e se possibile istituzionalizzare le proprie iniziative. Nella storia del welfare europeo, durante la prima Grande Trasformazione fu grazie a attori come friendly societies, associazioni filantropiche e istituzioni finanziarie locali con finalità sociale che si aprì la strada verso quello che sarebbe stato il welfare state. I corpi intermedi più tradizionali (in primis le organizzazioni di rappresentanza degli interessi) oggi in crisi di rappresentanza e identità, dovrebbero quindi guardare con crescente attenzione alle azioni del secondo welfare quali prodromi potenziali della Grande Trasformazione 2.0 in atto.
In tal senso appare particolarmente interessante anche un altro fenomeno emergente: alcune dimensioni, grazie all’interesse crescente intorno ai temi della sostenibilità promossi dall’Agenda 2030 dell’Onu, stanno guadagnando posizioni sempre più centrali non solo nel dibattito pubblico ma anche nella programmazione di vari attori pubblici e privati. Alcune di queste tematiche apparentemente lontane dalle politiche sociali “tradizionali” – come quelle ambientali e culturali – stanno cominciando ad ibridarsi fortemente con il mondo del welfare. In questo senso i molteplici intrecci tra primo e secondo welfare non appaiono più sufficiente per inquadrare le tante dinamiche in atto che, come si è detto, sono sempre più trasversali e meno definibili attraverso categorie tradizionali. In questo senso occorre e occorrerà prestare attenzione e promuove intrecci “laterali” fra il secondo welfare e tali dimensioni.
Qui è possibile scaricare il Quarto Rapporto sul secondo welfare in Italia
Fonte: Percorsi di secondo welfare