Amministratori e soci storici sono disponibili a ridiscutere la governance. Il board potrebbe presentare un pacchetto completo all’assemblea di rinnovo del 2020. Sotto la lente i paragrafi che disciplinano la carica dell’ad. Il valore dell’indipendenza e l’incognita Del Vecchio
di Luca Gualtieri
Il terremoto degli ultimi due mesi ha cambiato in profondità gli assetti proprietari di Mediobanca . Da un lato l’ingresso nel capitale di Leonardo Del Vecchio (oggi attestato al 9,9%) e dall’altro il passo indietro di Unicredit (fino a novembre primo azionista all’8,4%) hanno letteralmente chiuso un’epoca per la merchant milanese che il prossimo anno dovrà eleggere il nuovo vertice. Se gli esiti di questo terremoto rimangono incerti e dipenderanno soprattutto dalle mosse di Del Vecchio, la nuova geografia societaria ha indotto gli amministratori ad avviare una riflessione complessiva sulla corporate governance. Una riflessione che, sebbene ancora alle battute iniziali, potrebbe sfociare in una modifica dell’attuale statuto nell’ambito dell’assemblea del prossimo mese di ottobre. Tanto più che, nelle discussioni preliminari avute finora («ancora presto per parlare di bozze», riferisce una fonte), sia gli amministratori che i soci storici avrebbero manifestato piena disponibilità alla discussione.
Lo statuto di Mediobanca è in parte figlio dell’epoca che si è appena chiusa. In questa chiave ad esempio vanno letti i paragrafi che disciplinano la carica dell’amministratore delegato, prevedendo che sia scelto tra chi è dirigente del gruppo da almeno tre anni. La misura venne infatti inserita in statuto nella primavera del 2007, al momento del passaggio dal sistema tradizionale a quello duale: una mossa volta ad arginare l’influenza di Unicredit che proprio in quei mesi si stava fondendo con Capitalia. Esattamente un anno dopo, nelle discussioni per il ritorno alla governance tradizionale, la clausola fu oggetto di acceso confronto tra i vertici e venne alla fine confermata, sempre come garanzia di indipendenza. Così è accaduto anche nel terzo cambio di statuto, che ha varato il sistema monistico.
La recente rivoluzione negli assetti proprietari però pone oggi le premesse per rivedere quelle regole, anche alla luce della graduale trasformazione di Mediobanca in public company. Una trasformazione quest’ultima alla quale il management di Piazzetta Cuccia lavora ormai da tempo. Lo stesso ceo Alberto Nagel la vede come un ideale punto di arrivo per la merchant e il dialogo avuto in questi anni con gli investitori istituzionali è figlio proprio di questa strategia. Se insomma una modifica dello statuto all’insegna delle best practice internazionali potrebbe incassare l’approvazione degli investitori, c’è chi ritiene che la mossa avrebbe anche il vantaggio di anticipare le possibili richieste di Del Vecchio. Non è un mistero che anche il numero uno di EssilorLuxottica abbia messo nel mirino la governance di Piazzetta Cuccia e che, tra gli aspetti sotto lente, ci sarebbe proprio il meccanismo di elezione del ceo.
Al momento in ogni caso è difficile fare previsioni sulle mosse di Del Vecchio. Dopo essere salita al 9,9% di Mediobanca , Delfin non potrà acquistare ulteriori azioni senza il via libera congiunto di Banca d’Italia e della Bce. Un processo laborioso, anche perchè l’acquisizione di una quota di maggioranza relativa da parte di un azionista privato è circostanza rara nel sistema bancario. Solo in Italia si contano pochissimi casi tra cui quelli dei Malacalza in Carige , dei Maramotti nel Credito Emiliano e di Sebastien Egon Fürstenberg in Banca Ifis . Istituti peraltro con peso specifico assai inferiore rispetto a Mediobanca che, attraverso il suo 13% di Generali , rimane uno dei crocevia più delicati della finanza italiana. (riproduzione riservata)
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