Tra gli emendamenti approvati dalla commissione Bilancio c’è un vincolo a investire il 3% del capitale in titoli negoziati su mercati non regolamentati. Nuova fase per il mercato delle pmi
di Lucio Sironi
Gli addetti ai lavori lo definiscono come il tassello mancante per completare il quadro dei Pir, i Piani individuali di risparmio che, lanciati alla fine del 2016, si sono affermati lo scorso anno come uno degli strumenti più apprezzati dagli investitori, anche grazie agli sgravi fiscali riconosciuti a chi ne apre uno. In ballo c’è ora la proposta approvata dalla commissione Bilancio della Camera di inserire un vincolo aggiuntivo a investire il 3% del capitale raccolto in titoli non negoziati nei mercati regolamentati (come appunto l’Aim) o nei sistemi di negoziazione di pmi. Ad avanzarla è stato il deputato Giulio Centemero della Lega, che nel suo testo parla di introdurre questo ulteriore vincolo di destinazione dei capitali raccolti dai Pir, in aggiunta a quello principale che, in breve, si traduce in un obbligo a investire il 21% di quanto raccolto dal Pir in titoli esclusi dal paniere dei 40 che compongono l’indice Ftse Mib, ossia le cosiddette blue chip di Piazza Affari.
«Questa modifica avrebbe il merito di avvicinare di più lo strumento dei Pir al circuito Aim, dal momento che oggi l’impegno a investire fuori dall’indice Ftse Mib lascia ai gestori un raggio d’azione fin troppo ampio», spiega Giovanni Natali, presidente di 4aim sicaf , strumento d’investimento specializzato proprio nel segmento di Borsa italiana dedicato alle pmi e che fa che fa capo al gruppo Ambromobiliare .
Oggi il mercato Aim ha una capitalizzazione di 7,121 miliardi di euro e si stima che si possa far risalire ai Pir circa un quarto del flottante. Una elaborazione effettuata da Ambromobiliare , che si può osservare nella tabella qui sopra, stima che rispetto al patrimonio attuale dei Pir, che sfiora quota 19 miliardi di euro, il vincolo del 3% potrebbe far confluire verso le società dell’Aim circa 240 milioni di euro, che potrebbero lievitare a 400 anche solo ipotizzando un ritmo di raccolta ben inferiore a quello che si è visto nei due anni in cui i Pir sono attivi sul mercato italiano.
«La formulazione attuale dell’emendamento dovrebbe favorire principalmente l’Aim come destinazione finale delle risorse», prosegue Natali, che vede come piuttosto improbabili altri sbocchi, come per esempio il mercato del private equity, quindi società non quotate, che mal si concilia con la necessità di far fronte a domande di riscatto, come invece nel caso dei fondi Pir. «Per le potenzialità che lo accompagnano», aggiunge Natali, «questo emendamento avrebbe la capacità di dare una terza vita al mercato Aim, dopo quella iniziale, dal 2009 al 2015, e quella profusa dal decreto che ha introdotto lo strumento del Pir in Italia e che ha avvicinato il capitale dei risparmiatori individuali alle imprese di piccole-medie dimensioni». In base alle ultime rilevazioni il valore delle partecipazioni in società dell’Aim acquisite dai fondi Pir ammontava a 327 milioni (di cui 96 al solo fondo di Mediolanum ). (riproduzione riservata)
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