Le società di gestione quotate a Piazza Affari hanno affrontato la doppia sfida dei mercati in ribasso e della rivoluzione Mifid. Ma ora bisogna chiedersi se meritano un -30%
di Roberta Castellarin e Paola Valentini

Il 2018 per le reti di consulenza finanziaria quotate è stato un anno di transizione, in cui a livello di business tutte hanno messo a punto strategie per affrontare la rivoluzione Mifid II, che porterà più trasparenza e pressione sulle commissioni. Ma nel frattempo il deludente andamento dei listini ha fatto rallentare la raccolta e ha fatto precipitare il loro valore in borsa. Fatta eccezione per FinecoBank , che ha un profilo un po’ diverso dagli altri wealth manager quotati, tutte le reti da inizio anno perdono a Piazza Affari un terzo del loro valore rispetto a dicembre 2017. Intanto le mosse attuate per adeguare il modello di business variano da rete a rete e c’è chi punta sul m&a, come Banca Generali.

A ottobre la banca guidata dall’ad Gian Maria Mossa ha raggiunto un accordo per rilevare dei soci fondatori (un gruppo di money manager) Nextam partners e a inizio dicembre ha poi annunciato l’acquisizione del 90% di un’altra boutique, questa volta in Svizzera, il gruppo Valeur. Banca Generali ha anche presentato il business plan al 2021. «Consideriamo raggiungibili i target. Le nostre stime al 2021 prevedono masse totali per 78,6 miliardi di euro, all’interno della forchetta fissata dalla società di 76-80 miliardi e stimiamo un utile netto di 236,4 milioni, con una crescita annua dell’11%», afferma Banca Imi che conferma la sua visione positiva, apprezzando gli sforzi del gruppo nella diversificazione del suo mix di ricavi, data la pressione attesa sulle commissioni di gestione e il minor contributo delle commissioni di performance. Il broker ritiene inoltre che il dividendo minimo, fissato a 1,25 euro per azione, darà un rilevante supporto al prezzo dell’azione dato che il dividend yield all’attuale quotazione è sopra al 6%. Banca Imi ha limato il target price di Banca Generali da 24,5 a 24,3 euro (giudizio add invariato). Da gennaio a novembre Banca Generali ha raccolto 4,55 miliardi a fronte dei 6,23 miliardi degli 11 mesi del 2017.

Intanto Banca Akros ha confermato il rating buy (target price a 5,4 euro) su Anima nonostante i deludenti dati sulla raccolta. A novembre il gruppo ha attirato 64 milioni, meno dei 190 milioni attesi da Banca Akros e inferiori anche ai 180 milioni di novembre 2017. Invece le masse sono salite a fine novembre a 172,4 miliardi dai 101 miliardi di ottobre per via del previsto trasferimento della gestione dei mandati relativi alle polizze di ramo I commercializzate dalle Poste, gruppo con il quale Anima ha un accordo di collaborazione. «La raccolta di novembre è stata inferiore alle attese per via delle difficili condizioni dei mercati», afferma Banca Akros. Negli 11 mesi Anima ha avuto una raccolta netta di 1,071 miliardi dai 2,79 miliardi dello stesso periodo 2017. Ma, per il broker ci sono almeno quattro motivi per cui il titolo resta da comprare, nonostante la debolezza dei flussi. «Considerando le valutazioni non tirate, con il consenso medio del p/e 2018 e 2019 di 7,4, il dividend yield di circa il 5%, la performance negativa del titolo negli ultimi 12 mesi, il -33%, oltre al possibile piano di buy back sul 10% delle azioni in circolazione, confermiamo il buy», spiega Banca Akros. «Apprezziamo il fatto che Anima abbia avuto un risultato di raccolta positivo a novembre, malgrado le difficili condizioni dei mercati», sottolinea Banca Imi, ribadendo anche lei sul titolo il buy e il target price a 5,1 euro.

Dal canto suo Banca Mediolanum ha raccolto a novembre 301 milioni. Il dato, pur essendo il più elevato finora del secondo semestre, porta la raccolta totale degli 11 mesi a 3,21 miliardi, -24% sul periodo gennaio-novembre 2017. Dopo questi dati Mediobanca Securities ha confermato il giudizio neutrale e il target di 6,2 euro. Banca Imi considera quello di novembre un buon risultato, «date le difficili condizioni dei mercati» spiegano i suoi analisti che hanno un target di 6,3 euro e giudizio add. Il titolo tra l’altro lascerà il Ftse Mib dal 27 dicembre insieme a Mediaset per far posto ad Amplifon e Juventus .
Mentre Azimut a novembre ha avuto flussi per 355 milioni, raggiungendo i 4,2 miliardi da gennaio, ottenuti non soltanto grazie ala continua espansione all’estero, in particolare in Australia, ma anche all’acquisizione in Italia di Sofia sgr, in maggio. «Al netto di questa operazione i flussi sono stati circa 3,3 miliardi», calcola Imi, che sul titolo conferma il giudizio hold e target di 12,2 euro. Negli 11 mesi del 2017 il gruppo guidato dall’ad Sergio Albarelli aveva raccolto 5,9 miliardi. (riproduzione riservata)

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