Il danno non patrimoniale deve essere inteso in modo unitario rispetto alla lesione di qualsiasi interesse costituzionalmente rilevante non suscettibile di valutazione economica.
Per quanto concerne il dolore interiore e la significativa alterazione della vita quotidiana, essi costituiscono danni diversi e perciò autonomamente risarcibili, se rigorosamente provati.
La natura unitaria del danno non patrimoniale deve essere intesa come unitarietà rispetto alla lesione di qualsiasi interesse costituzionalmente rilevante non suscettibile di valutazione economica.
Natura unitaria sta a significare che non vi è alcuna diversità nell’accertamento e nella liquidazione del danno causato dal vulnus di un diritto costituzionalmente protetto diverso da quello alla salute, sia esso rappresentato dalla lesione della reputazione, della libertà religiosa o sessuale, della riservatezza, piuttosto che di quella al rapporto parentale.
Natura onnicomprensiva sta invece a significare che, nella liquidazione di qualsiasi pregiudizio non patrimoniale, il giudice di merito deve tener conto di tutte le conseguenze che sono derivate dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni risarcitorie, attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, e di non oltrepassare una soglia minima di apprezzabilità, onde evitare risarcimenti bagatellari.
La stessa meta/categoria del danno biologico fornisce a sua volta appaganti risposte al quesito circa la sopravvivenza descrittiva -come le stesse Sezioni Unite testualmente la definiranno- del cd. danno esistenziale, se è vero come è vero che esistenziale è quel danno che, in caso di lesione della stessa salute -ma non solo-, si colloca e si dipana nella sfera dinamico-relazionale del soggetto, come conseguenza della lesione medicalmente accertabile.
Così che, se di danno agli aspetti dinamico-relazionali della vita del soggetto che lamenti una lesione della propria salute -art. 32 Cost.- è lecito discorrere con riferimento al danno cd. biologico, quello stesso danno relazionale è predicabile in tutti i casi di lesione di altri diritti costituzionalmente tutelati.
Il danno dinamico-relazionale, dunque -così rettamente inteso il sintagma danno esistenziale-, è conseguenza omogenea della lesione – di qualsiasi lesione – di un diritto a copertura costituzionale, sia esso il diritto alla salute, sia esso altro diritto -interesse o valore- tutelato dalla Carta fondamentale.
Queste considerazioni confermano la bontà di una lettura delle sentenze del 2008 condotta, prima ancora che secondo una logica interpretativa di tipo formale-deduttivo, attraverso una ermeneutica di tipo induttivo che, dopo aver identificato l’indispensabile situazione soggettiva protetta a livello costituzionale -oltre alla salute, il rapporto familiare e parentale, l’onore, la reputazione, la libertà religiosa, il diritto di autodeterminazione al trattamento sanitario, quello all’ambiente, il diritto di libera espressione del proprio pensiero, il diritto di difesa, il diritto di associazione e di libertà religiosa ecc.-, consenta poi al giudice del merito una rigorosa analisi e una conseguentemente rigorosa valutazione, sul piano della prova, tanto dell’aspetto interiore del danno -la sofferenza morale- quanto del suo impatto modificativo in pejus con la vita quotidiana -il danno cd. esistenziale, in tali sensi rettamente inteso, ovvero, se si preferisca un lessico meno equivoco, il danno alla vita di relazione-.
In questa semplice realtà naturalistica si cela la risposta -e la conseguente, corretta costruzione di categorie che non cancellino la fenomenologia del danno alla persona attraverso sterili formalismi unificanti- all’interrogativo circa la reale natura e la vera, costante essenza del danno alla persona: la sofferenza interiore, le dinamiche relazionali di una vita che cambia.
Restano così efficacemente scolpiti i due aspetti essenziali della sofferenza: il dolore interiore, e/o la significativa alterazione della vita quotidiana.
Danni diversi e perciò solo entrambi autonomamente risarcibili, ma se, e solo se, rigorosamente provati caso per caso, al di là di sommarie generalizzazioni.
E se è lecito ipotizzare che la categoria del danno esistenziale risulti indefinita e atipica, ciò appare la probabile conseguenza dell’essere la stessa dimensione della sofferenza umana, a sua volta, indefinita e atipica.
Su tali premesse si innesta la recente pronuncia della Corte costituzionale n. 235/2014, predicativa della legittimità costituzionale dell’art. 139 del codice delle assicurazioni, la cui -non superficiale o volutamente parziale- lettura conduce a conclusioni non dissimili.
Si legge, difatti, al punto 10.1 di quella pronuncia, che la norma denunciata non è chiusa, come paventano i remittenti, alla risarcibilità anche del danno morale: ricorrendo in concreto i presupposti del quale, il giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell’ammontare del danno biologico, secondo la previsione e nei limiti di cui alla disposizione del comma 3 -aumento del 20%-.
La limitazione ex lege dell’eventuale liquidazione del danno morale viene così motivata dal giudice delle leggi: in un sistema, come quello vigente, di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata – in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo al Fondo di Garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici, l’interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi.
La Corte prosegue, poi, significativamente, sottolineando come l’introdotto meccanismo standard di quantificazione del danno – attinente al solo, specifico e limitato settore delle lesioni di lieve entità e coerentemente riferito alle conseguenze pregiudizievoli registrate dalla scienza medica in relazione ai primi nove gradi della tabella – lascia comunque spazio al giudice per personalizzare l’importo risarcitorio risultante dall’applicazione delle suddette predisposte tabelle, eventualmente maggiorandolo fino a un quinto in considerazione delle condizioni soggettive del danneggiato.
La motivazione della Corte non sembra prestarsi ad equivoci.
Il danno biologico da micro-permanenti, definito dall’art. 139 C.d.A. come lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, può essere aumentato in misura non superiore a un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato secondo la testuale disposizione della norma: e il giudice delle leggi ha voluto esplicitare una volontà legislativa che, alla luce delle considerazioni svolte, limitava la risarcibilità del danno biologico da micro permanente ai valori tabellari stabiliti ex lege, contestualmente circoscrivendo l’aumento del quantum risarcitorio in relazione alle condizioni soggettive del danneggiato – e cioè attraverso la personalizzazione del danno, senza che la norma denunciata sia chiusa al risarcimento anche del danno morale – al 20% di quanto riconosciuto per il danno biologico.
Viene così definitivamente sconfessata, al massimo livello interpretativo, la tesi predicativa di una pretesa unitarietà del danno biologico.
Anche all’interno del sotto-sistema delle micro-permanenti, resta ferma -né avrebbe potuto essere altrimenti, non potendo le sovrastrutture giuridiche sovrapporsi alla fenomenologia del danno alla persona- la distinzione concettuale tra sofferenza interiore e incidenza sugli aspetti relazionali della vita del soggetto.
Tante dispute sarebbero forse state evitate ad una più attenta lettura della definizione di danno biologico, identica nella formulazione dell’art. 139 come del 138 del codice delle assicurazioni nel suo aspetto morfologico -una lesione medicalmente accertabile-, ma diversa in quello funzionale, discorrendo la seconda delle norme citate di lesione che esplica un’incidenza negativa sulla attività quotidiana e sugli aspetti dinamico relazionali del danneggiato.
Una dimensione, dunque, dinamica della lesione, una proiezione tutta -e solo- esterna al soggetto, un vulnus a tutto ciò che è altro da se rispetto all’essenza interiore della persona.
La distinzione dal danno morale si fa dunque ancor più cristallina a una -altrettanto attenta- lettura dell’art. 138 -nel testo previgente alla novella del 2017, della quale di qui a breve si dirà-, che testualmente la Corte costituzionale esclude dalla portata precettiva del proprio decisum in punto di limitazione ex lege della liquidazione del danno morale.
Il meccanismo standard di quantificazione del danno attiene, difatti, al solo, specifico, limitato settore delle lesioni di lieve entità dell’art. 139 -e non sembra casuale che il giudice delle leggi abbia voluto rafforzare il già chiaro concetto con l’aggiunta di ben tre diversi aggettivi-.
L’art. 138 previgente, difatti, dopo aver definito, alla lettera a) del comma 2, il danno biologico in maniera del tutto identica a quella di cui all’articolo successivo, precisa poi, al comma 3, che qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali,… l’ammontare del danno può essere aumentato dal giudice sino al trenta per cento con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.
Lo stesso tenore letterale della disposizione in esame lascia comprendere il perché la Corte costituzionale abbia specificamente e rigorosamente limitato il suo dictum alle sole micro-permanenti: nelle lesioni di non lieve entità, difatti, l’equo apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato è funzione necessaria ed esclusiva della rilevante incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico relazionali personali.
Il che conferma, seppur fosse ancora necessario, la legittimità dell’individuazione della doppia dimensione fenomenologica del danno, quella di tipo relazionale, oggetto espresso della previsione legislativa in aumento, e quella di natura interiore, da quella stessa norma, invece, evidentemente non codificata e non considerata, lasciando così libero il giudice di quantificarla nell’an e nel quantum con ulteriore, equo apprezzamento.
Il che conferma ancora che, al di fuori del circoscritto ed eccezionale ambito delle micro-permanenti, l’aumento personalizzato del danno biologico è circoscritto agli aspetti dinamico relazionali della vita del soggetto in relazione alle allegazioni e alle prove specificamente addotte, del tutto a prescindere dalla considerazione -e dalla risarcibilità- del danno morale.
Senza che ciò costituisca alcuna duplicazione risarcitoria.
In altri termini, se le tabelle del danno biologico offrono un indice standard di liquidazione, l’eventuale aumento percentuale sino al 30% sarà funzione della dimostrata peculiarità del caso concreto in relazione al vulnus arrecato alla vita di relazione del soggetto.
Altra e diversa indagine andrà compiuta in relazione alla patita sofferenza interiore.
Senza che alcun automatismo risarcitorio sia peraltro predicabile.
Il sistema risarcitorio del danno non patrimoniale, così inteso, conserva, dunque, una sua intima coerenza, e consente l’applicazione dei criteri posti a presidio della sua applicazione senza soluzioni di continuità o poco ragionevoli iati dovuti alla specifica tipologia di diritti costituzionalmente tutelati.
Ogni vulnus arrecato a un interesse tutelato dalla Carta costituzionale si caratterizza, pertanto, per la sua doppia dimensione del danno relazionale/proiezione esterna dell’essere, e del danno morale/interiorizzazione intimistica della sofferenza.
E se un paragone con la sfera patrimoniale del soggetto fosse lecito proporre, pare delinearsi una sorta di -involontaria- simmetria con la doppia dimensione del danno patrimoniale, il danno emergente -danno interno, che incide sul patrimonio già esistente del soggetto- e il lucro cessante -che, di quel patrimonio, è proiezione dinamica ed esterna-.
Tale ricostruzione della morfologia del danno non patrimoniale trova, oggi, definitiva quanto inequivoca conferma nella nuova formulazione dell’art. 138 del Codice delle Assicurazioni -contenuta nella Legge annuale per il mercato e la concorrenza, approvato definitivamente il 2 agosto 2017- dove si legge, testualmente, alla lettera e), che al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all’integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico stabilita in applicazione dei criteri di cui alle lettere da a) a d) è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 14 novembre 2017 n. 26805