di Marcello Bussi
Un anno vissuto pericolosamente il 2016. E il 2017 si preannuncia dello stesso tenore. Per capire come sia stato l’anno appena trascorso basta dire che l’indice Ftse Mib di piazza Affari ha toccato il massimo il 4 gennaio, ovvero il primo giorno di contrattazioni, a 21.194. Da lì è stata una caduta fino ai 15.773 punti dell’11 febbraio. Poi c’è stato un accidentato e parziale recupero seguito da un vero e proprio crollo innescato dalla vittoria della Brexit al referendum del 23 giugno sulla permanenza del Regno Unito della Ue. Dalla chiusura di quel giorno a 17.966 punti, l’indice è precipitato fino ai minimi dell’anno a 15.103 del 27 giugno.
Fin qui niente di sorprendente, visto che la quasi totalità degli analisti aveva previsto catastrofi in caso di vittoria della Brexit. Ma da allora il Ftse Mib è tornato a salire rapidamente, trainato, guarda caso, proprio dalla borsa di Londra. Come ha osservato Massimo Saitta, direttore investimenti di Intermonte Advisory e Gestione, «i mercati hanno impiegato tre giorni per digerire il Brexit, tre ore per le elezioni americane e tre minuti per il referendum italiano. È una parziale forzatura ma che rende bene l’idea di quanto i mercati siano diventati rapidi nella capacità di adattamento» per quanto riguarda gli avvenimenti politici.
Tornando all’inizio dell’anno, peggio di così non sarebbe potuta andare. A Piazza Affari le banche sono subito partite sotto i bombardamenti iniziati con la risoluzione del novembre 2015 dei quattro istituti in difficoltà, Banca Etruria, Carife, Banca Marche e Carichieti. In contemporanea è entrata in vigore la direttiva della Ue che impone il bail-in alle banche in crisi, con il coinvolgimento diretto degli obbligazionisti e dei correntisti per le somme superiori ai 100 mila euro. Una vera spada di Damocle non solo sui clienti degli istituti considerati a rischio ma per l’intero sistema economico della Penisola, visti i danni già provocati dal bail-in all’italiana. E così è stata subito fuga dalle banche, che hanno registrato sull’intero 2016 performance disastrose, nonostante il rally di fine anno sorprendentemente seguito all’elezione di Trump, che ha portato Wall Street ai nuovi massimi storici e il Dow Jones a un soffio da quota 20.000. Alla chiusura del 29 dicembre il Monte dei Paschi era sotto dell’87,8%, il Banco Popolare del 75,8%, Carige del 75,4%, il Credito Valtellinese del 66,3%, la Banca popolare di Milano del 60,8%, Ubi Banca del 58,1%. Come spesso succede, in borsa si fa di ogni erba un fascio e anche una banca solida come Intesa Sanpaolo ha subito un ribasso del 22%, molto meno di tanti concorrenti, ma comunque una bella batosta.
Tornando all’inizio dell’anno, anche le altre borse occidentale sono partite male a causa del crollo del 4 gennaio della borsa di Shanghai, che ha spinto le autorità a bloccare le contrattazioni. Crollo innescato dai timori di un forte rallentamento dell’economia cinese. Allo stesso tempo è continuata la caduta dei prezzi del petrolio sceso il 20 gennaio a 27,88 dollari. Alle preoccupazioni a livello internazionale riguardo alla Cina e ai prezzi del petrolio, a Piazza Affari si è quindi aggiunta la situazione carica di incognite delle banche. E così si spiega la performance particolarmente negativa di Milano. Da meta febbraio l’indice ha recuperato parzialmente mentre continuava il tormentone sul rialzo dei tassi d’interesse Usa. A dicembre 2015 la Federal Reserve ne aveva previsti quattro nel 2016, ma a ogni riunione del Comitato di politica monetaria si è deciso di rinviare: alla fine i tassi sono stati alzati una volta sola, a dicembre.
Di aumento del costo del denaro nella zona euro ancora non si parla, tanto che il 10 marzo la Bce di Mario Draghi ha portato a zero i tassi d’interesse e aumentato il Qe da 60 a 80 miliardi di euro al mese. Una mossa che all’inizio di giugno ha spinto sotto zero addirittura il rendimento del Bund decennale tedesco messo all’asta. In estate, secondo i calcoli di Bank of America Merrill Lynch, i titoli di Stato in circolazione con rendimento negativo ammontavano a 13.000 miliardi di dollari. Di fronte a un mercato obbligazionario in queste condizioni non è restato che investire in borsa. E infatti, superato rapidamente il trauma della vittoria della Brexit, le borse hanno ricominciato a salire.
E il rally finale è stato merito della vittoria di Trump. Anche in questo caso, come per la Brexit, le previsioni erano catastrofiche. E invece, dando un’occhiata al programma dell’immobiliarista newyorchese, si è presto capito che era tutto orientato alla crescita dell’economia con i suoi tagli alle tasse sia alle imprese che alle persone fisiche uniti ai mega investimenti nelle infrastrutture. Il tutto corredato dalla promessa di allentare le regole imposte alle banche dopo il collasso di Lehman Brothers. Non a caso sono stati in particolare i titoli finanziari a trainare il rialzo, che in molti pronosticano continuerà anche nel 2017. Il contagio positivo si è trasmesso anche all’Italia e, se la vicenda Monte dei Paschi si concluderà positivamente, l’anno prossimo potrebbe segnare il riscatto delle banche della Penisola. Meglio non pensare, invece, a che cosa succederebbe con un esito negativo del caso Mps .
Come già detto, la vittoria del No al referendum costituzionale italiano è stata digerita in tre minuti. Le successive dimissioni del presidente del Consiglio Matteo Renzi per i mercati sono state un non evento. E così un anno che gli strateghi avevano previsto positivo se il Regno Unito fosse rimasto nella Ue, se Hillary Clinton fosse stata eletta presidente degli Stati Uniti e se il Sì avesse vinto il referendum in Italia, si è chiuso con un rally dopo che nessuno di questi auspicati eventi si è verificato.
Sarà da lezione per il 2017, che ha in programma le elezioni in Francia, Germania e probabilmente Italia? Di certo nessuno più si fida dei sondaggi. Gli analisti delle banche e delle altre istituzioni finanziarie dovranno cambiare i loro parametri di riferimento o cedere definitivamente il passo all’intelligenza artificiale. Sarà per questo motivo che nel 2016 il titolo che fra i 40 a maggiore capitalizzazione del listino di piazza Affari è salito di più è stato StMicro, che ha messo a segno un rialzo del 71%. Al secondo posto Tenaris (+58%), che ha approfittato del rialzo dei prezzi del petrolio, al terzo Buzzi Unicem (+37,6%). Ok anche Cnh , Ferrari , Moncler , Brembo e Prysmian con rialzi superiori al 20%. Ma i titoli migliori in assoluto con rialzi a tre cifre sono state due small cap, Tas ed El.En.
In conclusione, alla chiusura del 29 dicembre da inizio anno l’indice Ftse Mib ha accusato un calo del 10,3%, mentre Londra, alla faccia della Brexit, ha guadagnato il 14,1%, Francoforte il 6,6% e Parigi il 4,3%. All’interno del mercato azionario, a Piazza Affari il segmento Star si è distinto per una performance migliore rispetto agli indici: l’indice ha infatti registrato una crescita su base annua del 2%. È sceso, quindi, anche il peso di Borsa Italiana sul totale dell’economia italiana. La capitalizzazione complessiva delle società quotate si è infatti attestata a 524,9 miliardi di euro, in calo del 7,5% rispetto ai 567,7 miliardi di euro comunicati a fine 2015. La capitalizzazione di Piazza Affari è ora pari al 31,8% del pil contro il 34,8% di un anno fa, anche se resta superiore al livello del 2014, quando era al 29,1% del pil.
Complessivamente gli scambi di azioni a Piazza Affari hanno raggiunto una media giornaliera di 2,5 miliardi di euro, in calo del 21,9% rispetto ai 3,2 miliardi del 2015, con 297 mila contratti (+6,1%). Sono stati scambiati oltre 74,9 milioni di contratti, per un controvalore di oltre 619,5 miliardi di euro. Mentre il massimo giornaliero per contratti e controvalore scambiato è stato raggiunto il 24 giugno con 6,5 miliardi di euro e 767.551 contratti scambiati. Intesa Sanpaolo e Unicredit si confermano i titoli più scambiati. Come lo scorso anno, Intesa Sanpaolo è stata l’azione più trattata per controvalore con un totale di 78 miliardi di euro, mentre Unicredit (e anche in questo caso è una conferma) è stata la più scambiata in termini di contratti, pari a 5,8 milioni. Inoltre quest’anno sono stati raccolti 6,1 miliardi di euro da parte di società già quotate o di nuova ammissione.
Più nel dettaglio, le 14 operazioni di aumento di capitale hanno raccolto oltre 4,6 miliardi di euro. Mentre le 14 società che si sono quotate sui mercati di Borsa Italiana in fase di collocamento hanno raccolto oltre 1,4 miliardi di euro. Nel 2015 le società quotate e di nuova ammissione avevano raccolto 9,8 miliardi di euro, 4 miliardi in aumento capitale e 5,7 miliardi in sede di ipo con Poste Italiane che da sola aveva raccolto 3 miliardi di euro.
D’altra parte quest’anno ci sono stati meno sbarchi a Piazza Affari: 14, in pratica la metà rispetto ai 27 del 2015 e ai 26 del 2014. Tre ipo hanno interessato il listino principale Mta: Technogym , Coima Res ed Enav . Le altre 11 sono avvenute sul listino delle piccole e medie imprese, l’Aim: Energica Motor Company , Siti-B&T Group, Abitare In , Smre , Industrial Stars of Italy 2 , Dominion Hosting Holding , Solution Capital Management, 4Aim Sicaf , Vetrya , Innova Italy 1 , Fope . A queste ipo bisogna aggiungere le ammissioni di Ferrari , Italgas ed Exor Nv, il passaggio di Tecnoinvestimenti dall’Aim all’Mta, segmento Star, e l’ammissione di Te Wind sull’Aim. Il 29 dicembre, infine, si è perfezionata la fusione per incorporazione di Capital For Progress 1 in Gpi con lo sbarco di quest’ultima sull’Aim. Così alla fine dell’anno risultano quotate a Piazza Affari 387 società: 244 sull’Mta (di cui 71 sul segmento Star), 66 sul Global Equity Market e 77 sull’Aim. Lo scorso anno, le società quotate erano 356, di cui 282 sull’Mta e 74 sull’Aim.
Più opa che ipo alla fine. Quest’anno ci sono state 16 opa per un controvalore totale di 2,5 miliardi di euro. L’ultima è quella di Lactalis su Parmalat , ma l’anno è stato caratterizzato anche dalla battaglia per Rcs , da quella su Italcementi (la più ricca con un valore di circa 2 miliardi) e dalle scalate ad Ansaldo Sts e a Pininfarina . (riproduzione riservata)
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