Secondo i dati Istat del 2013, si incrementa il numero degli italiani che si trasferisce all’estero (82.095, +20,7% sul 2012) originando un saldo migratorio di -54mila unità, in aumento del 40% sull’anno precedente. L’analisi per curve di età evidenzia una concentrazione delle emigrazioni italiane tra i 20 e i 45 anni, cioè tra il ciclo conclusivo della formazione scolastica e le età lavorative.
Inoltre, il saldo migratorio con l’estero degli italiani con almeno 25 anni, subisce una perdita di residenti pari a 42mila unità, di cui 13mila laureati. La principale meta dei laureati è il Regno Unito: le stime più recenti sono del 2014 e indicano che ci sarà un aumento del 50% rispetto al 2013 (44mila persone) di giovani italiani che chiederanno di entrare in Inghilterra.
“Per capire il valore negativo di queste fughe basta pensare al costo economico e umano necessario per formare a livello scolastico queste menti. Anche se in Italia si stima una spesa in istruzione più bassa rispetto alla media Ue27 (8,5% contro 10,9%), il nostro sistema universitario è tra quelli più stimati” (Page Personnel – ricerca e selezione di giovani professionisti qualificati). Il XVII Rapporto AlmaLaurea (consorzio interuniversitario) evidenzia che a 5 anni dalla laurea il 3% lavora fuori dai confini e, di questi, quasi uno su cinque ricopre già posizioni di funzionario.
Si va all’estero perché le offerte di lavoro sono migliori, è più facile essere soddisfatti, le prospettive di carriera e l’acquisizione di professionalità sono maggiori e la paga che si percepisce è quasi il doppio di quanto si può ottenere nelle aziende italiane. Il 18% dei nostri laureati oltre confine, ricopre posizioni direttive (in Italia 8%), così come, fuori dai confini nazionali, il 10% svolge l’attività di ricercatore mentre in Italia la percentuale scende all’1%.