di Andrea Cabrini
A novembre 2015 la crescita della raccolta netta del sistema del risparmio gestito in Italia si è attestata su un saldo positivo di 4,1 miliardi di euro. La raccolta netta da inizio anno è salita così a 130 miliardi. Il patrimonio gestito ha segnato il nuovo record storico a quota 1.835 miliardi. È quanto emerge dalla mappa mensile del risparmio gestito elaborata da Assogestioni. «Un risultato che assegna al nostro settore una grande responsabilità in un momento delicato dei mercati finanziari», commenta Giordano Lombardo, presidente dell’associazione delle società di risparmio gestito, «l’industria sta dimostrando di meritare tutta questa fiducia e deve continuare a farlo».
Domanda.
Eppure gli strumenti del risparmio gestito hanno una diffusione ancora piuttosto limitata tra le famiglie italiane, si stima che non raggiunga più del 10% del totale.
Risposta. In realtà se a questa quota si aggiungono anche tutte quelle soluzioni riassumibili nella formula del fai-da-te si sale al 30%. Il nostro sforzo deve essere quello di raggiungere il restante 70% che ancora non ha in portafoglio strumenti come fondi, gestioni patrimoniali, polizze.
D. I tassi bassi giocano a vostro favore, spingendo sempre più investitori verso il risparmio gestito.
R.
Sì, l’industria da parte sua ha risposto dimostrando di rappresentare una soluzione valida non solo per i rendimenti che sta offrendo ma anche per la diversificazione del rischio. C’è però ancora un punto di debolezza che è rappresentato dall’assenza di una soluzione pensionistica all’altezza. Stiamo pensando a uno standard comune di fondo pensione a livello europeo, che consenta anche una portabilità che venga incontro alle crescenti esigenze di mobilità dei giovani lavoratori che contribuiscono a forme previdenziali individuali.
D. È questo il regalo di Natale che chiederebbe per il settore che lei rappresenta?
R. Direi di sì. Del resto nella direttiva sulla Capital market union questo obiettivo è previsto e l’Italia, forte dei suoi 4 trilioni di euro di risparmi, potrebbe avanzare una proposta per l’introduzione di questo strumento. A cominciare da un sistema di armonizzazione fiscale a livello europeo, perché l’Italia su questo fronte ha battuto strade molto diverse da quelle di altri Paesi.
D. Il salvataggio non indolore per molti investitori delle quattro banche sull’orlo del fallimento rischia di mettere in crisi il rapporto di fiducia dei risparmiatori verso intermediari e gestori di patrimoni?
R. Spero di no e l’industria deve lavorare perché questo non accada. Queste vicissitudini richiamano la necessità che si faccia di più per dare agli investitori più educazione e informazione finanziaria. Ma di fronte a strumenti complessi come le obbligazioni subordinate c’è da chiedersi se un normale risparmiatore, per quanto informato, sarebbe stato in grado di affrontare consapevolmente quel tipo di investimento. Da qui l’importanza di rivolgersi a una consulenza professionale. Oltre al necessario richiamo alla necessità di diversificare.
D. Premesso che i fondi comuni in particolare non fanno parte del patrimonio della banca e non risultano aggredibili dalle regole del bail-in, resta il fatto che anche il loro mondo è ricco di complessità. C’è poi il tema dei costi, ancora elevati…
R. In realtà già esiste un prospetto semplificato dei fondi che mette il sottoscrittore in condizione di capire le cose essenziali e importanti del suo investimento. In termini di chiarezza e trasparenza il fondo resta una delle soluzioni migliori a disposizione. Quanto ai costi, trattandosi di un mercato aperto alla concorrenza non possono essere troppo alti. Inoltre esistono prodotti di tipo low cost, i cosiddetti fondi passivi, dove il contenuto di gestione è inferiore. Quindi chi è più attento a questo aspetto può cercare in quella direzione.
D. La ricchezza di risparmio dell’Italia ne fa un mercato ideale anche per molte case straniere che raccolgono soldi in questo Paese. È un capitale che rischia di essere sottratto alla crescita economica italiana?
R. Uno dei primi obiettivi di un fondo è realizzare un’ampia diversificazione, anche internazionale. Ciò detto, il sostegno del risparmio all’economia italiana attraverso i fondi c’è e sta anche trovando nuove strade: penso ai prodotti che si avvicinano al mondo delle pmi guardando non solo alle azioni, ma ora anche alle loro emissioni obbligazionarie, i cosiddetti minibond.
D. I gestori di fondi hanno anche un ruolo attivo nel partecipare alla vita delle società quotate nelle quali investono importanti capitali.
R. A settembre il consiglio direttivo di Assogestioni ha adottato una nuova versione dei principi di stewardship, una serie di raccomandazioni di best practice, per stimolare il confronto e la collaborazione tra le società di gestione e gli emittenti quotati in cui esse investono. Riteniamo questo dialogo costruttivo parte integrante del nostro lavoro e crediamo che questo contributo si traduca nel tempo in una migliore valorizzazione delle aziende in cui investiamo.
D. La vicenda Telecom Italia e la contrapposizione tra fondi comuni e il socio di maggioranza Vivendicome si inseriscono in questo quadro?
R. Abbiamo chiesto chiarimenti in merito alla richiesta di Vivendi di ampliare il numero dei membri del cda, perché lo ritenevamo già adeguato per una gestione efficiente. L’attuale situazione lascia aperto un tema: secondo noi questo cda non rappresenta in modo adeguato la composizione della compagine azionaria di Telecom, in particolare per la componente di consiglieri indipendenti espressione delle minoranze, che sono solo tre su 17.
D. In più è stata bocciata la precedente proposta di conversione delle azioni di risparmio in ordinarie. Si è parlato di ritorsione contro i fondi che avevano dato battaglia sulla governance. È così?
R. Abbiamo sempre trattato le due cose separatamente. Eravamo favorevoli alla conversione perché riteniamo che possa essere conveniente per tutti, compresa la società.
D. Torniamo ai fondi e alla loro raccolta da record. Ci sono tendenze in atto?
R. Ne individuerei un paio, che sono il crescente gradimento verso le categorie dei fondi flessibili e verso i cosiddetti multiasset: in entrambi i casi il messaggio è il maggiore desiderio dell’investitore a delegare la scelta di come investire a chi ha le competenze necessarie per decidere. Questo può essere un bene in un momento in cui, anche per la divergenza delle politiche monetarie di Fed e Bce, è probabile che sui mercati, che negli ultimi anni sono cresciuti molto, aumenti la volatilità. Questo richiede un maggiore grado di protezione e la competenza di un gestore che la sappia introdurre. (riproduzione riservata)