Se serviva una riprova alla battaglia sulla trasparenza nelle comunicazioni finanziarie, la vicenda di Banca Etruria l’ha fornita nella maniera più lampante e anche più dolorosa per i risparmiatori coinvolti. Pubblicare solo sul web gli avvisi determinanti per le scelte d’investimento non funziona.
Gli investitori non istituzionali, che fanno parte di quella grande maggioranza degli italiani che hanno un rapporto problematico con la rete (per età, disponibilità economica o solo per la limitata competenza tecnologica), non usano internet e quindi non vengono raggiunti dall’informazione. Nemmeno se questa è fondamentale per la salvaguardia dei propri soldi. Milano Finanza nel numero di sabato 12 dicembre, ha raccontato che il 19 giugno 2013 Banca Etruria pubblicò sui giornali uno striminzito annuncio per avvertire gli investitori che sul suo sito era a disposizione il prospetto informativo riguardanti l’emissione dei suoi bond subordinati (gli stessi che tanti disastri hanno causato ora ai risparmiatori), un documento che pur nel linguaggio spesso criptico, avvisava della pericolosità dell’investimento stesso. Non solo, un altro annuncio precisava che sempre sul sito era disponibile una integrazione chiesta dalla Consob al prospetto stesso, anche questo un passaggio che aumentava l’allarme sui rischi dell’operazione, in particolare si avvisava, ma solo sul sito, che «l’investimento nelle obbligazioni subordinate lower Tier II comporta per l’investitore il rischio che in caso di liquidazione o di sottoposizione a procedure concorsuali dell’emittente, la massa fallimentare riesca a soddisfare soltanto i crediti che debbano essere soddisfatti con precedenza rispetto alle obbligazioni subordinate e che lo stesso possa conseguire a scadenza perdite in conto capitale di entità più elevata rispetto ai titoli di debito non subordinati».
Nello stesso anno, a cavallo del Natale e precisamente il 23 dicembre del 2013, un altro stringatissimo annuncio avvisa che è depositato un Supplemento al prospetto base che riguarda altri quattro bond di Banca Etruria , e che «Gli investitori che prima della pubblicazione del Supplemento, abbiano sottoscritto le obbligazioni (…) hanno il diritto di esercitare il diritto di revoca ( ) entro il secondo giorno lavorativo successivo alla pubblicazione del Supplemento».
In sostanza gli obbligazionisti si sarebbero dovuti recare in banca a farsi dare indietro i soldi o alla vigilia di Natale, o al massimo il 27 dicembre, peccato, però, che per sapere come mai la Consob aveva concesso questa possibilità avrebbero dovuto essere degli internauti, categoria non così diffusa tra i risparmiatori toscani e dell’alto Lazio, vista la quantità di gente che su quel bond ci ha perso tutti i soldi.
Il rischio più grosso, però, è che la vicenda di Banca Etruria potrebbe non aver insegnato nulla, dato che il governo ha già varato un decreto legislativo (n. 235) per recepire le nuove regole della cosiddetta direttiva transparency, l’atto con cui la Commissione Ue stabilisce le nuove coordinate per l’informazione al pubblico delle società quotate. Andando oltre le misure stabilite dalla stessa Unione europea, il governo ha deciso di abolire del tutto l’obbligo di pubblicare sui quotidiani nazionali gli avvisi, le comunicazioni e i prospetti, un favore alle società che da sempre contestano questi costi (non certo eccessivi) e un danno agli investitori cui viene tolto uno strumento di trasparenza. Un aspetto, questo, colto immediatamente dalle commissioni Finanze e Industria del Senato, che nei loro pareri (obbligatori, ma purtroppo non vincolanti) hanno chiesto al governo di fare marcia indietro. In particolare la commissione Industria di palazzo Madama, presieduta da Massimo Mucchetti, che in oltre trent’anni di attività giornalistica ha dimostrato di conoscere come pochi il mercato finanziario, ha chiesto di ripristinare quanto prima l’obbligo di pubblicazione sui giornali delle informazioni rilevanti perché per il pubblico indistinto, la pubblicazione solo su Internet delle stesse informazioni appare insufficiente ad assicurare «un adeguato regime di trasparenza in materia di informazione sugli emittenti garantendo un appropriato grado di protezione dell’investitore e la più ampia tutela della stabilità finanziaria e assicurando i più adeguati obblighi di informazione e correttezza». Insomma, scegliere il web come canale esclusivo equivale a nascondere le informazioni rilevanti. Pubblicarle sui quotidiani equivale, invece, a renderle fruibili senza mediazioni, ed immutabili. Nessun hacker potrà mai cambiare ciò che è scritto su un giornale. Insomma, la carta canta, il web non dà le stesse garanzie. A giorni, comunque, il governo, dopo aver ponderato i pareri parlamentari, deciderà se modificare il dlgs o renderlo operativo così com’è. In quest’ultimo caso, però, con la consapevolezza che fare orecchie da mercante è in ogni caso una scelta. La peggiore. (riproduzione riservata)