Moral hazard al ko tecnico. Rimuovendo la rete di protezione dello stato al sistema finanziario, le banche dovranno assumersi i propri rischi valutandoli nell’ottica del risanamento interno. E se è vero che a pagare in caso di dissesto saranno i creditori dell’istituto, è altrettanto vero che in discussione vi è anche la fiducia del cliente. E senza fiducia, come in qualsiasi rapporto, non c’è equilibrio.
L’Abc del bail-in. Intervenire per tempo, impiegare risorse interne e gestire la crisi in modo da ridurre tempi ed esborsi per la società. Sono questi i tre diktat sui quali si basa l’introduzione della Bank recovery and resolution directive (59/2014/Ue) che l’Europa ha imposto ai 28 stati membri per la risoluzione delle crisi bancarie. La direttiva, meglio nota come la misura che ha introdotto il bail-in, ha cercato di risolvere il problema del coinvolgimento dei fondi pubblici nei dissesti dei sistemi finanziari nazionali, che dal 2008 al 2014 hanno portato (secondo gli studi della Banca centrale europea) l’ammontare totale degli aiuti statali ad un esborso pari all’8% del pil dell’Eurozona.
Risoluzione bancaria. Il bail-in si affianca dunque alle tre già previste strategie di risoluzione delle crisi bancarie che l’autorità competente (Banca d’Italia nel caso italiano) avrà modo di attuare in caso di dissesto: vendere una parte dell’attività a un acquirente privato; trasferire temporaneamente attività e passività a un’entità (Banca ponte) costituita e gestita dalle autorità per proseguire le funzioni più importanti, in vista di una successiva vendita sul mercato; trasferire le attività deteriorate a un veicolo (bad bank) che ne gestisca la liquidazione in tempi ragionevoli; E infine il risanamento interno, il bail-in per l’appunto. Oltre al bail-in, merita però una parentesi a sé il concetto di moral hazard, sottilmente legato alla presente normativa.
Moral hazard. Secondo la dottrina della finanza, il cosiddetto «azzardo morale» (sebbene l’espressione sia intraducibile) è da intendersi come la mancata applicazione di tutte le premure che comunemente si applicherebbero in assenza di un cuscinetto pronto ad attutire gli urti. In altre parole, sapendo che lo stato si sarebbe immolato in caso di dissesto bancario per salvaguardare la stabilità del sistema, gli istituti avrebbero potuto (e alcuni l’hanno fatto) abbassare la guardia ed elevare il livello delle attività a rischio.
L’introduzione del bail-in, coinvolgendo direttamente i clienti che sono legati alla banca da un rapporto di fiducia, tenderà a portare anche ad una riduzione del moral hazard, con gli istituti che al posto di nascondere operazioni ad elevato rischio, dovranno cercare di potenziare l’informativa al cliente rassicurandolo della propria solidità. Se da un lato, infatti, l’eventuale salvataggio bancario peserà sulla cosiddetta «parte debole», dall’altro è altrettanto vero che gli istituti di credito hanno la necessità di mantenere integro il rapporto che lega il cliente alla banca. Starà dunque agli istituti del credito cercare di assottigliare quelle asimmetrie informative che contraddistinguono il rapporto con l’esterno; ciò, al fine di preservare e non pregiudicare la fiducia dell’investitore. Quest’ultimo, dal canto suo, avrà bisogno di maggiori informazioni per cercare di comprendere ed orientarsi meglio rispetto alla tipologia del prodotto offerto e alle rischiosità ad esso connesse. Nonostante il contenuto livello di educazione finanziaria e l’elevato tasso di anzianità tra la popolazione, l’investitore dovrà comunque agire con più consapevolezza nel fare le proprie scelte di investimento, tenendo ben fisso il presupposto che, tendenzialmente, ad un maggiore rendimento (superiore ai tassi offerti in media dal mercato) corrisponde un maggior rischio intrinseco.
I soggetti coinvolti. L’applicazione del bail-in prevede che dal 1° gennaio 2016 (data di entrata in vigore della Brrd) ad essere coinvolti nel risanamento bancario siano in primo luogo coloro che hanno sottoscritto prodotti ad elevato rischio, seguiti poi dalla clientela che ha stipulato contratti non coperti da garanzia.
Le prime attività liquidate in caso di dissesto saranno dunque le riserve bancarie accantonate, sia quelle da sovrapprezzo azioni, sia da utili non distribuiti, seguite dalle azioni stesse. A pari di queste, gli strumenti partecipativi di capitale (rischiosi per definizione) e le obbligazioni convertibili per i quali vale lo stesso ragionamento, warrant compresi. Per tale ultima categoria di strumenti si ridurranno a zero sia i diritti patrimoniali che quelli amministrativi.
L’ordine di chiamata prosegue poi attingendo da titoli ibridi e prodotti strutturati, giungendo quindi alle obbligazioni subordinate, per la quali la Brrd prevede l’azzeramento totale.
Se da tali operazioni non fosse raggiunta la soglia minima di copertura delle perdite (pari almeno all’8% del totale del passivo), a risentire del bail-in saranno infine i conti deposito superiori ai 100 mila euro, esclusivamente per la parte che eccede la soglia di tutela. L’intervento statale tramite fondo di risoluzione sarà possibile esclusivamente per una quota del 5% delle perdite totali e solamente dopo che le stesse siano già state soddisfatte con l’azzeramento di almeno l’8% delle attività in mano alla clientela.
Le attività escluse. Dal canto opposto, le attività tutelate da Brrd non potranno essere oggetto né di svalutazione, né di conversione. Rientrano in questa categoria tutte le passività garantite, inclusi i covered bonds (obbligazioni bancarie protette). Seguono nell’elenco le passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela o nate tramite relazione fiduciaria, quali sono ad esempio il contenuto delle cassette di sicurezza o i titoli detenuti in un conto apposito. Le esenzioni riguarderanno quindi i fondi di investimento collettivo Oicr e i fondi comuni di investimento promossi dalla banca ma aventi un patrimonio autonomo.
Salve dalle pratiche del risanamento anche le passività interbancarie (a esclusione dei rapporti infragruppo) con durata originaria inferiore a 7 giorni, le passività derivanti dalla partecipazione ai sistemi di pagamento con una durata residua inferiore a 7 giorni, i debiti verso i dipendenti, i debiti commerciali e quelli fiscali, purché privilegiati dalla normativa fallimentare.
Infine, restano esclusi i depositi protetti dal Fondo interbancario di garanzia dei depositi (Fitd), per una quota pari al massimo ai 100 mila euro. Soglia che sale a 200 mila euro in caso di conti cointestati, qualora i due soggetti non detengano altri conti presso la medesima banca. La soglia dei 100 mila, infatti, fa riferimento ad ogni singolo istituto e non alla somma delle diverse disponibilità detenute in diverse banche.
Unione bancaria Ue. La materia «tutela dei depositi» è disciplinata a sua volta da una seconda direttiva europea (49/2014/Ue), la cosiddetta Deposit guarantee schemes directive II, che impone l’intervento del Fitd in caso di risarcimento della parte debole. Aprendo una parentesi a proposito e inserendo la Brrd in un contesto d’insieme, si ricordi che tra i presupposti dell’Unione monetaria europea, uno degli obiettivi fissati in origine ha previsto la realizzazione di un sistema bancario unificato, da concretizzarsi tramite la realizzazione di tre pilastri: l’unione delle procedure di risoluzione bancaria; l’unione dei sistemi di garanzia dei depositi; l’unione del fondo di risoluzione per l’intervento pubblico. L’adozione e l’applicazione del bail-in, dunque, al pari di quello che sarà l’istituzione di un Fondo unico di garanzia dei depositi e un Fondo unico di risoluzione delle crisi bancarie dell’Eurozona (in vigore da 2016 ma che giungerà a compimento solo nel 2024), sono il risultato del recepimento di ciò che era messo nella lista europea delle cose da fare. Il bail-in non rispecchia dunque una decisione nazionale di intervento privato, ma si colloca in uno schema d’insieme europeo che mira alla stabilità dei bilanci statali.
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