Giovanni Pons
L a scure di Standard & Poor’s, oltre che sull’Italia intera, è arrivata anche sulle singole società quotate. E in particolare sulle principali compagnie assicurative del paese, Generali, Allianz, UnipolSai e Cattolica. La decisione è automatica come diretta conseguenza del fatto che declassando l’Italia si declassano anche le compagnie sulle quali questa decisione ha un impatto “materiale”. E come si misura nella famosa agenzia di rating tale impatto? «Noi definiamo l’esposizione verso un paese “materiale” per un assicuratore quando i suoi investimenti negli asset di un paese (bond governativi, banche e bond societari, immobili, prestiti, depositi e azioni) raggiunge il 25% dei suoi investimenti complessivi (escludendo le unit linked)», scrive S&P. E poiché, per esempio nel caso di Generali, questa quota raggiungeva il 27% al 30 giugno scorso, con 90 miliardi di investimenti in asset italiani, ecco che è scattata la tagliola del downgrading nonostante il profilo di credito sia rimasto invariato ad “a”. A nulla è valsa ai fini della decisione il fatto che il 70% dei ricavi Generali arrivi dall’estero e quindi anche il 70% delle riserve è investito negli asset dei Paesi dove si raccolgono le polizze. E se l’altro 30% dei ricavi viene dall’Italia è giusto che qui siano concentrati almeno il 27% degli investimenti. Insomma, il rischio Italia per S&P pesa di più della buona gestione e della solidità
patrimoniale di una società.