di Luisa Leone
Nella lotteria di fine anno la previdenza perde su tutti i fronti. In una giornata convulsa per l’approvazione della legge di Stabilità al Senato, venerdì 19 dicembre, nessuna buona notizia dell’ultima ora è arrivata ad allietare il Natale di chi ha affidato i propri risparmi ai fondi pensione, o quello dei professionisti, la cui previdenza è gestita dalle casse privatizzate, e nemmeno dei lavoratori che hanno deciso di lasciare il loro tfr in azienda. Come già deciso nei lavori in commissione, infatti, il governo ha optato per un mini-sconto al comparto, con una sforbiciata di 80 milioni l’anno sui 350 milioni complessivi di maggiori imposte. Ancora peggio però è andata a chi ha deciso di lasciare il suo trattamento di fine rapporto in azienda, visto che su questo capitolo non c’è stato alcuno sconto: l’aliquota sul rendimento del tfr passerà dall’attuale 11 al 17%.
Sulle casse professionali e sulla previdenza complementare, invece, sebbene sia stata confermata la tassazione rispettivamente al 26% (dal 20%) e al 20% (dall’11,5%), è stata introdotta la possibilità di ottenere uno sconto, che riporta i fondi pensione all’11% e le casse al 20%, ma attraverso un meccanismo piuttosto arzigogolato, che fa perno sul credito d’imposta. Il beneficio per altro sarà applicabile solo a patto che «i proventi assoggettati alle ritenute e imposte sostitutive siano investiti in attività di carattere finanziario a medio o lungo termine», si legge nella bozza del maxiemendamento su cui il governo, dopo molti rinvii, ha chiesto la fiducia. Il credito di imposta sarà quindi condizionato a un impiego delle risorse in investimenti che di fatto saranno indirizzati dall’alto, visto che il testo spiega che le tipologie che daranno diritto allo sconto saranno «individuate con apposito decreto del ministro dell’Economia».
È l’annosa questione dell’utilizzo del risparmio previdenziale nell’economia reale. Non a caso poco prima che la legge di Stabilità fosse presentata l’esecutivo aveva raggiunto un accordo con casse e fondi pensione perché costituissero assieme alla Cassa Depositi e Prestiti un fondo di fondi per investire in infrastrutture, pmi e altri comparti dell’economia del Paese. Accordo saltato per aria quando i rappresentanti del mondo previdenziale hanno scoperto l’amara sorpresa contenuta nella ex Finanziaria.
E con l’intervento minimo deciso nel passaggio al Senato è davvero difficile che casse e fondi pensione siano pronti a riprendere le fila del discorso. Anzi solo giovedì 18 dicembre, dopo l’approvazione della proposta in commissione, Assofondipensione (che rappresenta 34 fondi con 37 miliardi di patrimonio) sottolineava polemicamente che «seppure potenzialmente positivo in termini di agevolazione degli investimenti nell’economia reale, l’emendamento presentato dal governo che istituisce un credito di imposta per gli investimenti infrastrutturali effettuati dai fondi pensione, non può essere in ogni caso una risposta adeguata a fronteggiare l’aumento della tassazione».
Si può dire, insomma, che le proteste del mondo previdenziale sono rimaste state ascoltate. Per questo, come anticipato in una recente intervista su MF-Milano Finanza da Michele Tronconi, presidente di Assofondipensione, è sempre più probabile che l’associazione decida di fare ricorso contro le norme, che hanno anche carattere retroattivo: per la previdenza complementare saranno applicate a valere dal periodo d’imposta 2014.
Sul piede di guerra sono poi anche le casse previdenziali, per le quali il nuovo inasprimento porta la tassazione ai livelli di qualsiasi altro investitore (26%), senza considerare che esse gestiscono il primo pilastro previdenziale dei professionisti, quindi le loro pensioni base. Insomma lo scontento è grande, anche perché l’aumento delle aliquote porterà da subito nelle casse dello Stato circa 350 milioni (320 dai fondi pensione e una trentina dalle casse), mentre da spartirsi ci saranno solo 80 milioni complessivi e comunque a partire dal 2016.
Non solo. Un’altra stangata è arrivata pure sugli enti non profit, come le fondazioni bancarie, che già si erano viste portare la tassazione al 26%. Questa volta è stata alzata la quota di dividendi percepiti sottoposti a tassazione, portandola dall’attuale 5% a quasi il 78%. Anche in questo caso si è adottato il credito d’imposta come misura parzialmente compensativa, per permettere di recuperare il maggior prelievo per il 2014 (perché anche questa misura ha carattere retroattivo), ma solo in tre tranche tra il 2016 e il 2018. Infine da ricordare che la legge di Stabilità contiene importanti misure per la futura privatizzazione di Poste e della rete elettrica delle Fs e anche uno stop agli incrementi di Imu e Tasi e del canone tv per il 2015. (riproduzione riservata)