Troppi reati ambientali a causa della scarsa cooperazione giudiziaria internazionale. Questa la conclusione del primo rapporto di Eurojust sulle organizzazioni criminali transnazionali che compiono illeciti ambientali. L’organismo europeo responsabile della cooperazione giudiziaria nell’Ue ha aggiunto che questo tipo di criminalità genera profitti stimati tra i 30 e i 70 miliardi di dollari l’anno, e i numeri mostrano che «spesso chi si macchia di queste tipologie di reati in Europa non viene condannato dalle autorità nazionali». I reati più commessi in questo campo sono: l’esportazione di rifiuti pericolosi (con in testa Italia e Irlanda), tipi diversi di inquinamento delle acque (specialmente in Grecia, Ungheria e Svezia), esportazione illegale di scimmie e uova di volatili. Eurojust sottolinea come «andrebbero potenziate le strutture nazionali competenti, l’accesso all’esperienza e le soluzioni possibili per affrontare le sfide del traffico di specie in via d’estinzione, il traffico illegale di rifiuti e l’inquinamento delle acque di superficie». E in particolare il rapporto denuncia che i profitti dei reati ambientali «sono altissimi, mentre le sanzioni bassissime». Spesso le indagini sulle organizzazioni criminali che operano in questi settori «non portano neanche all’iscrizione di persone nei registri degli indagati». Eurojust fa sapere che «per esempio il procuratore generale non riceve dalle autorità nazionali i dati necessari dalle dogane o dalle autorità veterinarie», e le autorità nazionali non riescono a risolvere i casi «adottando un approccio transfrontaliero». Il problema numero uno rimane il fatto che l’applicazione della legislazione Ue a livello nazionale è ancora diversa da uno stato membro all’altro. E alcuni paesi non dispongono di strutture adeguate (per esempio, unità di polizia o dei procuratori che lavorano solamente sui casi di reati ambientali). Unici procuratori specializzati in materia, infatti, operano in Svezia, Regno Unito e Paesi Bassi.
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