Il mondo del risparmio non è stato risparmiato negli ultimi anni dalla caccia a nuove entrate da parte del Fisco. Il 2014 porterà una serie di novità che è bene conoscere per provare a ridurre il più possibile l’impatto sul proprio portafoglio.
Nuove regole per i conti. Si comincia dai conti correnti bancari e postali, che hanno conosciuto un cambio in corsa a pochi passi dall’approvazione della legge di Stabilità. Per le giacenze fino a 5 mila euro (considerando la media annuale) si continuerà a non pagare nulla (a conferma di quanto previsto dall’inizio di quest’anno), ma sopra questa cifra è previsto un bollo di 34,20 euro per tutti, indipendentemente dalla giacenza media.
Per quanto riguarda gli altri strumenti finanziari, invece, il bollo (introdotto due anni fa) passerà dallo 0,15% del 2013 allo 0,2% del nuovo anno, ma è stato abolito il minimo di 34,2 euro. Dunque, viene inasprita la patrimoniale, ma dando una boccata d’ossigeno ai piccoli risparmiatori: chi investe di più, si troverà a pagare una somma maggiore. Per le imprese viene confermato il limite massimo, che tuttavia sale da 4.500 a 10 mila euro. Non pagheranno (e non pagavano prima) le polizze vita ramo uno, i fondi pensione e i fondi sanitari. Continueranno quindi a pagare i possessori di conti di deposito, fondi, Btp e azioni.
Considerando il diverso trattamento tra i conti correnti e gli altri strumenti, chi deposita piccole quantità di denaro per un periodo di tempo limitato, d’ora in avanti potrebbe avere maggiore convenienza a farlo sui conti correnti, anziché su veri e propri strumenti di investimento. Mentre se l’ammontare o la tempistica cresce, il vantaggio viene meno.
Il prelievo sulle rendite. Non vi sono novità, invece, in merito ai prelievi sul capital gain. Anche per il 2014 viene confermato il prelievo del 20% su tutte le rendite finanziarie, a esclusione dei titoli di stato, soggetti a un prelievo agevolato del 12,5%. Una misura disposta per la prima volta nel 2012, con l’intento di favorire i flussi di risparmio verso il debito dello stato. Qualche esempio può aiutare a rendere meglio l’idea: se acquisto un’azione italiana a quota 90 e la rivendo a 100, il capital gain sarà pari a 10. Da questo guadagno devo togliere il 20% di imposta, pari a 2 euro, per cui porto a casa 8 euro effettivi. Se invece acquisto un titolo di stato allo stesso prezzo e conseguo un analogo guadagno, dovrò fare i conti con un prelievo del 12,5%, cioè di 1,25 e finirò con l’incassare 8,75 euro. Dunque, tra acquistare direttamente un Bot o Btp e farlo attraverso un fondo comune, è più conveniente la prima strada, ma a patto di accettare una minore diversificazione e ricordarsi di rinnovare i titoli di stato ogni volta che giungono a scadenza. Per i fondi comuni specializzati nei titoli di stato è, invece, prevista una compensazione atta a ristorare del prelievo differenziale.
Al di là di questi esempi, c’è da rallegrarsi che le imposte sui capital gain siano rimaste immutate. Fino a poche settimane fa, infatti, erano circolate bozze della legge di Stabilità che prevedevano un inasprimento dell’aliquota base al 22%, poi portata al 21%, fino a ritornare al 20% nella stesura finale.
Nulla di fatto sulla Tobin tax. Al momento dell’approvazione, sul finire della scorsa legislatura, la Tobin tax era stata presentata come una misura «per combattere la speculazione finanziaria» ed era stato indicato un obiettivo di incasso intorno al miliardo di euro. Le prime stime indicano che nelle casse del Fisco non sono entrati più di 200 milioni di euro, mentre nel frattempo numerosi operatori finanziari hanno deciso di abbandonare l’operatività sul mercato italiano. Con il risultato che è cresciuto lo spread denaro/lettera, vale a dire la differenza tra il prezzo richiesto da chi vende e quello proposto dal compratore, un costo implicito che si è riversato soprattutto sui piccoli investitori. La Tobin tax prevede un prelievo dello 0,12% sulle transazioni in azioni e imposte variabili per chi opera in derivati. Nelle prime bozze della legge di Stabilità era stato proposto un inasprimento delle imposte; in seconda battuta si era pensato di ridurre la percentuale di prelievo in cambio di un’estensione ad altri prodotti; alla fine si è deciso di lasciare tutto com’era. Intanto, l’Unione europea proseguirà la discussione per avviare una Tobin tax su scala europea.
Immobili spremuti. Di fronte a questa serie di imposte verrebbe la tentazione di rituffarsi nel vecchio, caro mattone. Ma la tentazione rischia di durare poco non solo perché per l’immobiliare italiano è in vista un altro anno nero (con i prezzi stimati in calo tra il 3 e il 5%), ma anche per il motivo che il settore non è rimasto immune dal processo di tassazione crescente.
Dal 2014 tornerà l’Imu sulla prima casa e, pur sotto diverso nome, è previsto un inasprimento della tassazione sulle seconde. Un recente studio di Confedilizia ha calcolato che nel triennio 2012-2014 vi è stato un inasprimento delle imposte sul mattone nell’ordine di 45,2 miliardi di euro.
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