Il primo bersaglio dell’inadempimento del medico è il diritto dei genitori di essere informati affinché, indipendentemente dall’eventuale maturazione delle condizioni che abilitano la donna a chiedere l’interruzione di gravidanza, si preparino psicologicamente e, se del caso, anche materialmente, all’arrivo di un figlio menomato.
La richiesta dei corrispondenti pregiudizi deve ritenersi insita nella domanda di risarcimento dei danni derivati dalla nascita, quali il danno biologico in tutte le sue forme e il danno economico, che di quell’inadempimento sia conseguenza immediata e diretta in termini di causalità adeguata.
Spetta alla donna, che chiede di essere risarcita, la prova dei fatti costitutivi della pretesa azionata, ossia che l’informazione omessa avrebbe provocato un processo patologico tale da determinare un grave pericolo per la sua salute e che, nella situazione ipotetica data, ella avrebbe optato per l’interruzione della gravidanza.
A fronte di un onere probatorio oggettivamente difficile, in quanto volto a dimostrare non già quello che si è verificato nei fatti ma quello che si sarebbe presumibilmente verificato ove il medico avesse adempiuto alla sua obbligazione, il rifiuto di generalizzazioni di tipo statistico impone l’acquisizione, nel singolo processo, di ogni elemento probatorio che, a prescindere dal saggio apprezzamento che dei relativi esiti farà poi il decidente, consenta di valutare la sussistenza o meno di convincimenti etici idonei a svelare la contrarietà ad un intervento abortivo.
Cassazione civile sez. III, 22 marzo 2013 n. 7269