I calcoli dicono che i fondi pensione hanno spalle abbastanza larghe per dare una mano agli esodati, ovvero a chi ha perso il lavoro e non ha ancora raggiunto la pensione. Il tutto senza mettere a rischio la propria stabilità. A studiare la questione, che si è fatta di stretta attualità dopo la riforma Fornero che ha allungato l’età pensionabile, è un gruppo di lavoro organizzato da Assoprevidenza (l’associazione italiana per la previdenza e l’assistenza complementare), dal fondo pensione del personale di Bnl-Bnp Paribas e dallo studio attuariale Orrù e Associati.
I risultati, diffusi ieri, sono confortanti; secondo le prime analisi, già oggi esistono soluzioni praticabili, all’interno di un fondo pensione, per consentire di erogare una rendita temporanea al lavoratore, in caso di riduzione o assenza di reddito, quando manca qualche anno alla pensione.
«I calcoli che abbiamo effettuato riguardano lavoratori cui mancano fino a cinque anni per la maturazione del diritto alla prestazione pensionistica di base e i conti tornano», spiega Sergio Corbello, presidente di Assoprevidenza. In pratica, aggiunge Corbello, «secondo le nostre analisi il finanziamento della rendita temporanea per chi ha perso il lavoro può avvenire attraverso l’utilizzo di parte del montante individuale accumulato». Ovviamente in caso di occupazione part time l’utilizzo del montante sarebbe inferiore e resterebbero più risorse a disposizione per la pensione di scorta. «La previdenza integrativa deve diventare più flessibile per rispondere ai bisogni e alle nuove emergenze dei lavoratori che oggi si trovano in mezzo al guado, tra fine lavoro e inizio pensione», aggiunge Corbello. «Gli interventi sembrano praticabili a legislazione vigente e nelle prossime settimane, per averne conferma, chiederemo pareri e consigli a giuristi».
Ieri intanto è stata anche presentata un’analisi del gruppo assicurativo australiano Mercer che ha messo a confronto i sistemi previdenziali di 20 Paesi nel mondo, prendendo come riferimento adeguatezza, sostenibilità e integrità: a svettare è stata la Danimarca, che ha raggiunto un livello di eccellenza, seguita da Olanda, Australia, Svezia, Cile, Canada, Regno Unito, Svizzera e Singapore. Un terzo gruppo è rappresentato da Paesi con sistemi previdenziali buoni, ma che presentano carenze che vanno risolte per mantenere la sostenibilità sul lungo periodo: Germania, Francia, Brasile, Stati Uniti, Messico, Polonia. Com’è messa l’Italia? Non è tra i Paesi monitorati, ma, se lo fosse, si piazzerebbe a cavallo tra la seconda e la terza fascia. Con la riforma previdenziale varata a inizio 2012 dall’ex ministro Fornero l’Italia, come afferma l’Ocse, sarà uno dei Paesi che manderà più tardi in pensione i lavoratori. (riproduzione riservata)