Roberto Mania
O ra qualcuno a Trieste, ma non solo, comincia a tremare. Le carte sono in mano alla Procura e non si sa dove si possa arrivare una volta che si sarà alzato il coperchio. I controllori, Consob e Ivass, infatti, hanno deciso di rivolgersi ai magistrati perché c’è qualcosa di poco chiaro negli investimenti in private equity e in fondi alternativi, in quel conseguente vorticoso giro di titoli, realizzato dalle Generali durante la lunga stagione di Giovanni Perissinotto con Raffaele Agrusti capo dell’area finanza. Ma c’è anche – finora – la resistenza dell’attuale consiglio di amministrazione delle Assicurazioni ad avviare un’azione di responsabilità nei confronti dei due ex dirigenti, nonostante le ripetute, pressanti sollecitazioni proprio della Consob e dell’Ivass. Perché? Cosa impedisce l’azione di responsabilità quando una stessa indagine interna ha evidenziato «irregolarità»? Chi ha paura di essere coinvolto? segue alle pagine 2 e 3 con un articolo di Paolo Possamai
D omande che si sono fatte i commissari delle due autorità, ma senza ricevere una risposta convincente. Per questo hanno scelto la strada giudiziaria. Potrebbe essere un’inchiesta dai risvolti clamorosi, se la Procura triestina decidesse di aprirla. Di certo è già clamoroso il fatto che le due authority di controllo si siano rivolte alla magistratura. Perché è un sistema che potrebbe essere indagato. Un’inchiesta dentro il santuario della finanza italiana, lì dove si sono giocate le partite del potere nazionale prima che la Grande Crisi desse il colpo pressoché ferale al capitalismo relazionale made in Italy, e facesse emergere nuovi manager, indipendenti da Mediobanca, estranei al vecchio establishment, come il “napoletano di ferro” Mario Greco, ceo che si è formato nella Mitteleuropa (Allianz e Zurich) e ha tirato via il Leone dai polverosi patti di sindacato. Via dai patti di Mediobanca, Rcs, Pirelli, Telco, Ntv, Gemina, Prelios, Agorà. Un vecchio mondo. Un pezzo del quale potrebbe finire sotto inchiesta a Trieste. Perché questa è una storia di intrecci finanziari, intrecci azionari, intrecci di potere, intrecci personali, infine. Rapporti incestuosi, come sono quelli, in finanza, con le parti correlate. E c’è – soprattutto – un buco di centinaia di milioni di euro. L’ha svelato un’inchiesta di Claudio Gatti sul Sole 24 Ore, sulla base di un report di una società di consulenza (la Kpmg) ingaggiata dalle Generali e dal quale emergono violazioni delle regole interne. Alla fine sono stati iscritti a bilancio 234 milioni di perdite (su un totale di 660 milioni di operazioni) derivanti dagli investimenti in private equity e in fondi alternativi. Tutte operazioni fatte, direttamente o indirettamente, con gli stessi soggetti: i veicoli Ferak ed Effeti, che controllano oggi circa il 3 per cento del capitale di Generali. Dietro ai quali ci sono i nomi della galassia veneta: Enrico Marchi e Andrea De Vido (Fin. It), la famiglia Amenduni (gruppo Valbruna) e il finanziere Roberto Meneguzzo (Palladio Finanziaria) in buoni rapporti con Marco Milanese, l’ex influente collaboratore di Giulio Tremonti, quando questi presidiava il ministero dell’Economia, ma anche con Valentino Valentini, l’uomo di Berlusconi che parla, tra le altre lingue, anche il russo e tiene i contatti tra l’ex Cavaliere e Putin. Intrecci di poteri, ancorché decadenti, ma significativi. Che non possono non arrivare fino al cuore delle Generali, tra i membri del Consiglio di amministrazione. E reticoli disvelati, quelli veneti, dal rapporto di Kpmg, citato dal quotidiano finanziario. Rapporti con parti correlate, cioè di soggetti che hanno quote delle Assicurazioni e con queste hanno realizzato affari. Ecco il punto. Perché le Generali – l’ha spiegato bene nella sua lunga confessione a Massimo Mucchetti in “Confiteor”, Cesare Geronzi, che del Leone è stato presidente ai tempi di Perissinotto – «sono come una mucca speciale dalle cento mammelle. Tutti credono di poterne trovare una alla quale attaccarsi nella convinzione che ci sia sempre latte per tutti». E allora investimenti importanti di Generali in veicoli finanziari (Ferak ed Effeti, si è visto) controllati da azionisti del gruppo. Operazioni condotte in paesi off shore, Caraibi, Lussemburgo, Panama. Perché? Tutte realizzate senza il coinvolgimento del consiglio di amministrazione dell’epoca. Le avrebbe decise Perissinotto con la collaborazione del cfo Agrusti. «I principali ruoli decisori o di gestione attiva nelle operazioni oggetto di indagine – ha precisato Generali su richiesta della Consob – sono stati svolti dall’ex amministratore delegato e dall’ex direttore generale». In cambio di cosa? Perché il top manager di Generali sostiene un gruppo di azionisti investendo (malissimo) risorse della società? Lo scambio sotterraneo potrebbe essere il reciproco appoggio: i finanzieri veneti schierati con Perissinotto e da questi ricambiati. Bisognerà accertarlo. L’indagine interna lo fa presagire. Certo Meneguzzo si mosse contro Mediobanca (maggiore azionista di Generali) per impedire il salvataggio della Fonsai dei Ligresti da parte di Unipol con la regia proprio di Piazzetta Cuccia. Ma si è scoperto poi un asse tra Meneguzzo e Perissinotto. Sarà necessario riavvolgere il nastro, ripercorrere passaggi che potrebbero risultare decisivi per ricomporre il mosaico delle relazioni improprie. Anche se di fronte alle obiezioni sullo scambio occulto con i fondi Ferak e Effeti, Perissinotto, intervistato dalla Stampa a inizio novembre, è stato nettissimo. Ha respinto ogni accusa. Ha detto a proposito dei “favori” a Ferak ed Effeti: «Non è assolutamente vero. Abbiamo fatto investimenti in quelle società quando credevamo che avessero potenziale. E il loro ingresso nell’azionariato è completamente separato. Io e i miei manager abbiamo sempre e solo cercato di portare avanti il gruppo nella tempesta dei mercati finanziari». Sì, ma perché non coinvolgere il board di Trieste? E perché l’assenza – come risulterebbe dall’indagine interna – di alcune valutazioni di merito sull’andamento degli investimenti? Certo, di fronte alla possibilità di un’azione di responsabilità il gruppo ha frenato. Per ora. Non vi sarebbero rilievi di carattere penale nella condotta di Perissinotto e di Agrusti. La strada del risarcimento civile, però, sarebbe percorribile. Ma ricca di tornanti: «Principalmente in considerazione della difficoltà di collegare – hanno spiegato da Trieste sulla base dei pareri dei consulenti legali – le irregolarità emerse a danni risarcibili a norma di legge (e quindi confortati dai necessari elementi di prova in merito a esistenza, prevedibilità ed entità degli stessi), tenuto conto, tra l’altro, che taluni degli investimenti oggetto di indagine non sono ancora giunti a scadenza, anche se, quando necessario, a fronte delle perdite prevedibili sono state iscritte le dovute svalutazioni, nonché dei possibili impatti reputazionali». Non un aspetto secondario, quest’ultimo, in un gruppo multinazionale che al di là dei giudizi ormai inaffidabili dei signori del rating (in questo caso Standard & Poor’s) rappresenta ancora il meglio, bilancio alla mano, della finanza tricolore. Ma le ammissioni, per quanto caute, sono nero su bianco, peraltro già nei numeri del bilancio. La svolta, dunque, per questa storiaccia di finanza opaca potrebbe avvicinarsi. Lo stesso Greco ha dichiarato che l’eventuale azione di responsabilità non sarà affrontata nel prossimo cda convocato per venerdì, 6 dicembre. Ha detto che è «troppo presto» ma non ha affatto escluso che la questione potrebbe arrivare sul tavolo del consiglio. Si vedrà se Greco riuscirà a convincere gli altri consiglieri tra i quali, per quanto è trapelato, non tutti erano favorevoli al “licenziamento” di Agrusti pagato a suon di milioni: ben 6,1. E non è un caso che dopo l’ultimo pressing dell’Ivass di riconsiderare l’apertura di un’azione di responsabilità nei confronti di Perissinotto e Agrusti, si sono rimessi a lavorare il Comitato controllo e rischi (l’audit interno) e il Comitato remunerazioni, il primo presieduto da Alberta Figari il secondo da Paolo Scaroni che dovrà considerare anche l’ipotesi di applicare la clausola di clawback (cioè di restituzione di parte della buonuscita) nei confronti dell’ex cfo. I Comitati hanno appena nominato i rispettivi consulenti. Le conclusione delle due indagini non saranno pronte prima di gennaio. E allora arriveranno anche sul tavolo del consiglio di amministrazione. Che a quel punto d
ovrà decidere. La palla intanto è passata nel campo della Procura di Trieste, procura prudente non d’assalto. È meglio saperlo. Oggi è guidata da un facente funzioni (il pm Federico Frezza) perché il precedente capo procuratore Michele Dalla Costa è passato a Treviso. Dalla Costa è il marito di Ippolita Ghedini, sorella di Niccolò, noto avvocato di Berlusconi, ma anch’ella (civilista) difensore dell’ex senatore nella causa di divorzio con Veronica Lario. Intrecci. E non più finanziari. O no? Oppure anche questo è un filo da tirare nella finanza nordestina che assomiglia sempre più a un vaso di Pandora? IL RIALZO DEL TITOLO Nel grafico qui sotto, il rialzo dell’azione Assicurazioni Generali nell’ultimo anno. Particolarmente elevata la crescita a partire dalla fine di luglio dello scorso anno, quando il nuovo ad Mario Greco prese in mano le redini del gruppo assicurativo Qui sopra, l’attuale consiglio d’amministrazione di Generali. In azzurro i consiglieri presenti anche nel precedente cda Qui sopra, il nuovo logo unificato del marchio Generali che sarà valido in tutto il mondo. Nella foto grande, in alto, l’ex group ceo Giovanni Perissinotto (a sinistra) e l’ex direttore finanziario Raffaele Agrusti