di Giuseppe Di Vittorio
Sarà necessario un corso di diritto tributario prima di iniziare a operare. La versione più recente della Tobin Tax presentata dal governo Monti prevede aliquote differenziate per strumenti e all’interno delle stesse asset class, l’applicazione di tariffe fisse e modulabili. Non solo, se lo strumento cambia valore nel corso del tempo, anche l’impatto della pressione fiscale potrà cambiare. Ecco una breve guida per districarsi nella giungla delle nuove aliquote. La nuova versione della tassa sulle transazioni finanziarie colpirà due strumenti: le azioni e i derivati. Per quanto riguarda le prime, i titoli che saranno oggetto dell’imposta dovranno avere due caratteristiche: dovranno essere emessi da società residenti sul territorio dello Stato (azioni italiane quindi) e rappresentativi di società con capitalizzazione di borsa superiore a 500 milioni. Si tratta di una soglia piuttosto bassa: finiranno infatti per essere soggetti a tassazione tutti i titoli compresi nel paniere del Ftse Mib, le mid cap e anche alcune small cap. Tra le banche si salverà per esempio solo Banco Desio. Un’altra categoria di titoli colpiti dall’imposta saranno gli Adr, cioè i certificati rappresentativi delle azioni italiane quotati a Wall Street. Il legislatore ha voluto inoltre colpire qualsiasi sede di negoziazione e quindi anche gli scambi nelle discusse dark pool, le sedi preferite dalle grandi banche in cerca di anonimato. Saranno teoricamente compresi anche i sistemi multilaterali di negoziazione, come EuroTlx o HiMtf. Al momento su queste piattaforme di scambio non ci sono però titoli italiani quotati o comunque si tratta di strumenti riconducibili a società escluse per capitalizzazione. L’imposta sarà pagata sia dai residenti sia dai non residenti. Le aliquote sull’azionario. La sede dove si perfezionerà la transazione sarà influente sull’ammontare dell’aliquota. Il legislatore ha previsto un’aliquota ordinaria dello 0,10% per i titoli che verranno negoziati su un mercato regolamentato e dello 0,20% per ciò che verrà negoziato al di fuori. Per mercati regolamentati si intendono le borse e i sistemi multilaterali di negoziazione. La tassa sarà applicata dal 1° marzo del prossimo anno. Solo per il 2013, tenendo conto che il prelievo sarà applicato per 10 mesi su 12, le aliquote saranno innalzate di due centesimi (0,12% per il regolamentato e 0,22% per il non regolamentato). Quanto al soggetto passivo, l’imposta sarà pagata solo dal compratore. In caso di operazione ribassista (vendita allo scoperto), l’imposta sarà quindi dovuta solo alla ricopertura della posizione. L’operatività intraday sarà però esclusa: le operazioni aperte e chiuse all’interno della stessa giornata non saranno conteggiate come base imponibile per la tassa. Verrà quindi tassata la sola operatività overnight, cioé di durata superiore a un giorno. I derivati su azioni. Sui derivati la situazione cambia radicalmente. Innanzitutto l’imposta sarà applicata dal 1° luglio 2013 e sarà dovuta sia dal compratore sia dal venditore, per un ammontare equivalente, ma soprattutto sarà tassata anche l’operatività intraday. La tassa dovrebbe colpire tutte le transazioni che avranno come oggetto derivati con sottostanti titoli e indici azionari italiani, con tariffe anche qui differenziate tra mercati regolamentati e non. I derivati con sottostanti titoli italiani scambiati su mercati regolamentati sono le cosiddette IsoAlfa (opzioni su azioni), i covered warrant, i certificati e i meno popolari stock future. Sul valore del contratto scambiato si applicherà una tariffa fissa che varia a seconda della taglia: a) 0,025 euro se il valore del contratto sarà inferiore ai 2.500 euro; b) 0,05 euro per contratti compresi tra 2.500 e 5.000 euro; c) 0,10 euro per la fascia tra 5 e 10 mila euro; d) 0,50 euro fra 10 e 50 mila euro; e) 1 euro fra 50 e 100 mila euro; f) 5 euro fra 100 e 500 mila euro. Ma nel pomeriggio di venerdì 14 l’imposta massima sui derivati è stata portata da 100 a 200 euro per operazioni con sottostante oltre 1 milione. Dall’imposta è stata esentata la finanza etica, grande propugnatrice della sua introduzione. I derivati su indici. Tra i derivati su indici negoziati su mercati regolamentati, oltre ai classici Fib e Mini Fib, ci sono anche le Mibo (opzioni su indici). In base ai valori attuali dell’indice si pagheranno su questi contratti rispettivamente 0,20 euro (Fib) e 0,10 euro (Mini Fib e Mibo). Le tariffe sono legate al valore dei contratti negoziati: se tale valore aumenterà, la tassa potrà quindi aumentare e viceversa. In generale, per i derivati su indici negoziati su mercati regolamentati, le tariffe saranno pari a 1/5 di quelle applicate per i derivati con sottostanti azioni. Derivati non regolamentati. I derivati non regolamentati saranno tassati con tariffe pari a cinque volte rispetto a quelli regolamentati, tenendo conto sempre delle differenze tra le due categorie di sottostanti, titoli e indici. Sono comprese in questa categoria le opzioni binarie su azioni e indici. Ancora più popolari sono i cfd, ma per questi strumenti il legislatore ha riservato un trattamento particolare: la griglia di tariffe è infatti unica sia per quelli con sottostante azioni italiane sia per quelli legati agli indici tricolore. Il trattamento è quello delle azioni: su un Mini Cfd sull’Italy40 si pagherà mezzo euro, sullo standard paragonabile al Fib, 5 euro. Per le azioni, 10.000 euro di cfd azionari sull’Italia costeranno 0,50 euro, su 50 mila euro si pagheranno 2,50 euro. Le eccezioni. Saranno esentati dalla tassa i market maker, le società impegnate in accorciamenti e allungamenti della catena di controllo di un gruppo, i fondi pensione, gli enti previdenziali e le autorità di politica monetaria. Tra le asset class, saranno invece esclusi i tassi di interesse, le obbligazioni, i titoli di Stato, le valute e le materie prime. Quanto agli strumenti finanziari non saranno infine soggetti all’imposta tutti i prodotti del risparmio gestito: Etf, Etc, Sicav e polizze assicurative. Hanno infine ottenuto un trattamento a parte le famigerate macchinette: i sistemi automatici di negoziazione ad alta frequenza dovranno pagare un’ulteriore aliquota dello 0,02% per gli ordini modificati o annullati, quando la proporzione degli ineseguiti sarà superiore al 60% del totale degli ordini immessi. (riproduzione riservata)