di Gabriele Capolino
La Tobin Tax non cambia. Aliquota dello 0,1% sulle azioni trattate sui mercati regolamentati, tentativo di azzeramento degli high frequency trading e quota fissa sui derivati (vedere tabella in pagina). «Una grande occasione sprecata», dice Guido Roberto Vitale, uno dei protagonisti del mondo dell’investment banking e dei mercati finanziari italiani fin dai primi anni 70 con Euromobiliare, poi con Vitale&Borghesi , Lazard Italia e attualmente con la Vitale & Associati, non ha dubbi. E in questa intervista con MF-Milano Finanza, spiega perché. Domanda. Dottor Vitale, qual è il giudizio su quello che ha partorito il parlamento? Risposta. Ripeto, è una grande occasione sprecata. La Tobin Tax poteva essere il primo mattone di un’imposta realmente armonizzata in tutta l’Unione europea. Gli 11 Paesi che avevano aderito al progetto avrebbero dovuto trovare criteri di imposizione, tempi e modalità di implementazione coerenti e omogenei tra loro. Invece c’è stata una fuga in avanti della Francia, dove peraltro mi dicono che funzioni assai male, e ora dell’Italia, mentre per esempio la Germania ha detto che attende fino al 2016. Tutto ciò non ha senso. D. Quindi lei non è contrario a una tassa sulle transazioni finanziarie. R. No, ma mi rifaccio allo spirito originario della tassa ideata da James Tobin, che era quello di tassare le transazioni finanziarie che non fossero legate a un corretto e fisiologico andamento dei mercati. Deve essere una tassa priva di ideologia, punitiva solo per quelle transazioni che non si basano su una particolare abilità umana, ma che sono solo il frutto di algoritmi che battono le micro inefficienze dei mercati, a tutto vantaggio di uno e a discapito di tutto il mercato, che vede aumentata a dismisura la sua volatilità. D. La Tobin all’italiana punisce per prime le compravendite azionarie. R. Questo è un altro mistero: più o meno inconsciamente, in questo Paese si finisce sempre per prendere misure che penalizzano il capitale di rischio. E invece, proprio in un momento in cui il credito bancario è sparito, occorreva incoraggiare chi investe in capitale di rischio. Per come la vedo io, la Tobin andava parametrata al tempo, non al titolo. D. Si spieghi meglio. R. Bisognava applicare una tassa bassissima, quasi inesistente, per coloro che compravano e poi rivendevano il titolo per esempio dopo 24 mesi, mentre andava resa più alta per chi compra alle 9 del mattino e rivende alle 9.05. Insomma, l’intraday non va incoraggiato: come ho detto, genera solo troppa volatilità. D. A questo punto, le blue chip italiane sono in una posizione di sfavore competitivo rispetto alle concorrenti europee. R. Certo, se domani un gestore dovesse scegliere tra comprare un titolo italiano o uno tedesco, a parità di caratteristiche investirebbe sul tedesco, risparmiando lo 0,12%. E non solo: in questo modo, favorendo un crollo dei volumi di blue chip scambiate, si scoraggiano gli intermediari non bancari, attenuando la loro propensione a fare ricerca indipendente sulle società quotate italiane. E si sa bene quanto bisogno ci sia di ricerca non inquinata da conflitti di interesse. D. E che cosa pensa dell’estensione della tassa anche ai derivati? R. Anche qui una tassa che possa definirsi realmente Tobin deve discriminare i comportamenti. Se si acquistano derivati per esigenze di copertura e lo si fa nei mercati regolamentati, è un conto. Se lo si fa per motivazioni diverse e magari su qualche mercato non regolamentato, allora ha un senso applicare la Tobin Tax. Oggi il volume di derivati in giro per il mondo è pari a circa 12 volte il pil mondiale. Si calcola che il fabbisogno reale di copertura di rischi equivalga a 4-5 volte il pil mondiale al massimo. Il resto è rouge et noir, scommessa pura. Che però scarica danni a tutta la collettività, a beneficio di pochissimi. D. Perché questo governo, che pure è costellato di professori che conoscono bene i mercati, ha partorito questo pasticcio? R. Non credo che lo abbiano fatto per compiacere nessuno. Pressati da mille cose, non hanno avuto il tempo di riflettere sul significato e sulle implicazioni di una imposta del genere. Invece di porre le basi per una tassa che normalizzasse il comportamento fisiologico di tutti i mercati europei, hanno preferito accontentarsi di un gettito, che poi si rivelerà modesto, contribuendo ulteriormente alla perdita di competitività del paese. Così si limita la libertà di un Paese. (riproduzione riservata)