Vito De Ceglia
Milano N el 2050 l’Italia sarà il Paese europeo più “anziano” con una percentuale di ultra 60enni del 38,3%, contro una media Ue di quasi il 30%. Da qui la necessità di intervenire al più presto, dopo le recenti riforme del mercato del lavoro e delle pensioni, anche sul finanziamento della spesa sanitaria per evitare che tale trend demografico presenti costi insopportabili all’economia nel suo complesso ed alle prospettive di crescita del Pil. E’ questa la premessa da cui parte l’inchiesta di Sda Bocconi — commissionata da Assidai, il fondo sanitario integrativo di Federmanager — che analizza il contesto dell’assistenza integrativa nel nostro Paese. Uno strumento, sottolinea la ricerca, che si prepara a diventare un pilastro fondamentale del sistema sanitario e welfare italiano, sebbene fino ad oggi la sua diffusione sia stata poco incisiva a livello nazionale. Da più parti si ritiene vi siano circa 300 fondi sanitari e 55 società di mutuo soccorso prevalentemente operativi nel centro nord del Paese. Gli iscritti ai fondi si immagina siano poco meno di 6,4 milioni di cittadini e gli assistiti circa 11 milioni (spesso sono coperti anche i membri del nucleo familiare). Sono numeri che dimostrano quanto nel nostro Paese l’importanza assunta da operatori sanitari integrativi sia molto marginale rispetto al resto dell’Europa. Tuttavia, a fronte di tale ritardo, occorre tener conto che in Italia gli obiettivi di contenimento della spesa impongono una progressiva privatizzazione della spesa a carico dei cittadini: le manovre di finanza pubblica approvate nell’estate 2011 hanno visto l’introduzione dei ticket sulle prestazioni specialistiche unitamente a tagli al Fondo sanitario nazionale (Fsn) per 2,5 miliardi di euro nel 2012 e 5,45 miliardi di euro nel 2013; il Fondo Nazionale per le Politiche sociali destinato alle regioni si è ridotto nel 2011 ad un terzo della disponibilità esistente nel 2007 (274 milioni di euro contro i vecchi 745 milioni di euro). Non solo: nei prossimi anni è previsto che la riduzione continui, a cominciare dal fondo per la nonautosufficienza che si è drasticamente ridotto nel 2010 e che sarà azzerato dal 2014. Per questo motivo, la ricerca mette in evidenza come lo strumento dei fondi sanitari interpreti un rilevante ruolo di integrazione delle prestazioni sanitarie pubbliche in un contesto di crescente privatizzazione del sistema. A questo punto, secondo lo studio, diventa fondamentale per i fondi scegliere un nucleo oculato di prestazioni tali da permetterne un’adeguata fornitura nel rispetto dei vincoli di bilancio, senza che ciò si traduca in progressivi incrementi degli oneri contributivi a carico degli iscritti. Il cuore dell’indagine si avvale poi di un questionario diviso in due websurvey differenti, a seconda che il rispondente avesse o meno sottoscritto un piano sanitario. I rispondenti si suddividono in 757 sottoscrittori (85,3% del totale) e 130 non sottoscrittori (14,7%). Una porzione maggiore di non sottoscrittori si evidenzia tra le donne (il 26,9% non ha sottoscritto un piano sanitario, rispetto al 11,7% degli uomini non sottoscrittori). La maggior parte del campione (73%) ritiene che sottoscrivere un piano sanitario aiuti a mantenere il proprio benessere, in particolare l’utilità percepita aumenta con l’aumentare dell’età. Nella fascia più giovane indagata (fino a 39 anni) si registra, invece, una minore consapevolezza dei benefici e costi di un piano sanitario integrativo. Inoltre, poco meno del 10% (9,9%) si ritiene molto soddisfatto delle strutture messe a disposizione in convenzione con il piano. Coloro che sono scarsamente o per nulla soddisfatti rappresentano una percentuale non significativa, rispettivamente il 7,3% e l’1,5%. Una buona porzione del campione, poi, non è mai entrata in contatto con le strutture e i medici convenzionati non avendo usufruito del piano o avendo selezionato strutture o medici diversi (17,7%). La categoria più ampia è invece quella della risposta intermedia (“Abbastanza”). Questo dato deve essere letto, secondo la ricerca, non in senso positivo, ma semmai come un campanello di allarme: perché “abbastanza” non rappresenta necessariamente un grado di soddisfazione medio quanto piuttosto un’aspettativa disattesa. Un ulteriore dato interessante risulta la scarsa importanza attribuita ai check-up medici periodici. A conferma che, in materia di prevenzione, l’Italia resta il fanalino di coda tra i Paesi coinvolti nell’indagine: sono il 55% (contro il 91% degli americani) i cittadini che dichiarano di aver effettuato un check up nel corso degli ultimi 5 anni e il 49% (contro il 69% dei tedeschi) ad aver effettuato un test per l’Hiv o un esame preventivo contro il cancro. Fondamentale (per il 60,6% degli uomini e il 69,5% delle donne) è ritenuta l’assistenza in caso di non autosufficienza. I servizi cosiddetti di “Long term care” (Ltc) fanno fronte a questa necessità e forniscono, nella maggior parte dei casi, servizi di assistenza generici non medici per la gestione delle esigenze quotidiane del paziente (vestizione, lavaggio, alimentazione, etc). In Italia, negli ultimi anni, questo tipo di cure è stato organizzato dalle famiglie in autonomia, presso il domicilio, devolvendo l’assistenza del paziente a uno dei famigliari o a personale non qualificato a basso costo, le cosiddette badanti. Oggi, nel nostro Paese, le badanti sono circa 800.000, un numero elevatissimo dovuto soprattutto a una mancanza di strutturazione del mercato. L’inchiesta di Sda Bocconi voluta da Assidai, il fondo sanitario integrativo di Feder-manager, segnala le tendenze del welfare privato Sottoscrivendo un piano sanitario collettivo l’azienda serve i propri dipendenti, ottimizza gli sforzi organizzativi, ottiene economie di scala e beneficia di sgravi fiscali