Giovanni Pons
A vvocati e banche d’affari. Sono loro i veri vincitori delle partite finanziarie più intricate del paese, dalla combattutissima contesa per il controllo del gruppo Ligresti all’altrettanto acceso testa a testa per mettere le mani sul gruppo di costruzioni Impregilo, fino alla disputa senza esclusioni di colpi tra la famiglia Malacalza e Marco Tronchetti Provera per il futuro di Pirelli, una delle poche multinazionali del paese. L’ amara constatazione è che in tutte queste baruffe tra giganti del capitalismo alla fine la parte del leone la fanno i legali che studiano a fondo le mosse in grado di spiazzare l’avversario e i banchieri d’affari che mettono a punto soluzioni finanziarie volte a trovare le risorse per realizzare le operazioni. E tutti questi protagonisti staccano parcelle milionarie che gravano sulle aziende quotate in Borsa garantendo ai beneficiari tenori di vita che permettono di ignorare qualsiasi fase congiunturale avversa. Non solo. Avvocati e banche d’affari molto spesso sono legati tra di loro, nel senso che rappresentano cordate che amano lavorare assieme e si chiamano a vicenda quando il cliente ha bisogno di assistenza. Inoltre, la presenza in campo di determinate cordate di avvocati e banchieri, è in grado di determinare l’esito della partita e dunque il grande imprenditore o la grande banca, pur di vincere la battaglia, è disposto a pagare salato (tanto i soldi non sono suoi) l’assistenza legale e finanziaria perché sa che così si crea consenso intorno all’operazione, anche attraverso le notizie che gli stessi sono in grado di far filtrare sui giornali. Il caso più eclatante di schieramenti in campo ha riguardato la recente battaglia per conquistare la Fonsai, compagnia assicurativa da un decennio nelle mani della famiglia Ligresti. Unipol ha vinto la battaglia (ma non ancora la guerra) grazie a un fronte compatto formato dalle grandi istituzioni Mediobanca e Unicredit a cui si sono affiancate banche d’affari italiane e straniere e quasi tutti gli studi legali presenti su piazza. Tra tutti si sono portati a casa circa 75 milioni pagati da Fonsai tra commissioni per l’aumento di capitale, advisoring, consulenze legali e di società di revisione (vedere tabella in pagina). Altrettanti, anche se non si conosce il dettaglio, dovrebbe averli sborsati Unipol, a cui si aggiungono i costi per Premafin e per Milano Assicurazioni. In totale, se si afferma che il costo della mega operazione si è aggirato intorno a 200 milioni non si sbaglia di molto. I Ligresti hanno pagato caro il loro isolamento, la mala gestione dell’ultimo decennio, l’inesistente presa sui giornali e la sensazione diffusa che fossero ormai giunti al capolinea. Gli avvocati che erano schierati al loro fianco, da Lombardi a Carlo D’Urso a Carbonetti e il banchiere d’affari Gerardo Braggiotti, vedevano nell’Unipol l’unica àncora di salvezza per il gruppo. Ma anche la Goldman Sachs, advisor di Fonsai, e Citi, consulente degli azionisti di minoranza della compagnia, hanno subito il fascino e il potere di persuasione di Mediobanca e Unicredit pilotando il consiglio di amministrazione verso l’approdo dell’Unipol. Il piatto più ricco, in termini di commissioni, è poi toccato alle banche estere che hanno garantito gli aumenti di capitale, sia di Unipol che di Fonsai. Un rischio mercato da 1,2 miliardi che è stato molto ben remunerato: 17 milioni di euro a testa per 123 milioni di azioni da garantire, in parte rimaste inoptate ma poi sapientemente piazzate sul mercato in un momento successivo. Il fronte Mediobanca poteva anche contare sullo studio Chiomenti, suo tradizionale alleato, che assisteva Unipol al fianco della quale era scesa in campo Lazard Italia e un avvocato del calibro di Guido Rossi. Mentre Unicredit aveva l’avvocato Cappelli, suo legale di fiducia presso lo studio Gianni Origoni, addirittura seduto nel cda di Fonsai in qualità di consigliere indipendente, fatto che ha influito non poco sulle delibere con parti correlate in cui il comitato degli indipendenti era determinante. Una morsa da cui i Ligresti non potevano che uscire stritolati e tutti gli altri molto più ricchi di prima. Così è il capitalismo anche in Italia, ma soprattutto il capitalismo di sistema. A ben vedere, uno dei pochi legali che è diventato ricco senza scodinzolare attorno alla galassia Mediobanca è l’avvocato Sergio Erede. Assistette la famiglia Benetton nella prima grande privatizzazione degli anni ’90, quella dei supermercati Gs, acquistati insieme a Leonardo Del Vecchio. A quei tempi i due imprenditori veneti erano gli unici ad aver fatto fortuna lontano dai consigli di Enrico Cuccia e ciò era considerata una prova di forza non indifferente. Erede ha proseguito in quel solco trovandosi a fianco di Roberto Colaninno e dei capitani coraggiosi lanciati nel 1999 alla conquista della Telecom con la famosa Opa da 100 mila miliardi di lire. Operazione che dopo due anni li vide uscire tutti con le tasche piene di soldi grazie all’intervento della Pirelli di Tronchetti Provera, lui sì un uomo del sistema. Erede si è così costruito nel la fama di osso duro dotato grande competenza, elementi che gli hanno permesso di far crescere uno degli studi legali più importanti d’Italia. Allo stesso tempo è un avvocato che non disdegna le presenze in proprio nei consigli di amministrazione e a volte ha investito direttamente in alcune operazioni, come fu ai tempi della Seat. Si dice che abbia uno dei patrimoni immobiliari più importanti del paese e non c’è da stupirsi nel vederlo scendere in campo quando la battaglia si infiamma. Nel corso del 2012 ha offerto la sua consulenza al gruppo di costruttori romani Salini nella disputa contro il gruppo Gavio per il controllo di Impregilo. In una clamorosa assemblea di luglio è intervenuto personalmente per caldeggiare in punta di diritto le ragioni del suo cliente mentre dall’altra parte si trovava schierato il mondo che gravita intorno a Mediobanca, dal presidente di Impregilo e vicepresidente di Unicredit Fabrizio Palenzona fino allo studio D’Urso, Gatti, Bianchi. In quell’occasione Erede l’ha spuntata assestando un colpo importantissimo a favore degli sfidanti, anche se la partita non può dirsi conclusa essendo in corso un’inchiesta della magistratura per un’ipotesi di patto occulto tra Salini e il fondo americano Amber. Tra le banche d’affari solo Rothschild è stata ingaggiata dal gruppo romano mentre Gavio ha avuto al suo fianco Piazzetta Cuccia di cui è anche azionista. Ma una parte rilevante l’ha giocata anche Claudio Costamagna, ex banchiere di spicco della Goldman Sachs, in buoni rapporti con Romano Prodi, Giovanni Bazoli e Cesare Geronzi tanto da aver portato all’altare due giganti come Unicredit e Capitalia. Costamagna è diventato super-consulente super-pagato di Salini diventando anche presidente di Impregilo una volta conquistato il controllo del cda in assemblea. È lo stesso Costamagna che nel 2006 Prodi inviò da Rupert Murdoch per disincentivarlo ad effettuare l’operazione tra Sky e la Telecom di allora, guidata da Tronchetti Provera, lo stesso che parlava al telefono con Luigi Bisignani quando questi cercava informazioni sul possitempo bile sostituto di Alessandro Profumo in Unicredit, lo stesso che poche settimane fa è stato chiamato da Giuseppe Guzzetti per uno studio di fattibilità su una possibile fusione tra Intesa Sanpaolo e Unicredit. Insomma un banchiere dalle molteplici relazioni che quando scende in campo fa sentire il suo peso e stacca parcelle milionarie. A ben vedere, anche la disfida Tronchetti-Malacalza ha un coté importante sul versante banche d’affari e avvocati. Furono i banchieri della Lazard Italia a presentare gli imprenditori liguri al patr
on della Pirelli, un matrimonio che è poi sfociato nelle carte bollate. Quando si è trattato di valutare al microscopio tutti i passaggi nei cda Camfin e Gpi è sceso in campo lo studio Erede, forte del fatto che i Malacalza già si affidavano al suo partner di Genova, Gianpiero Succi. Dall’altra parte Tronchetti non ha abbandonato il suo banchiere di fiducia, Gerardo Braggiotti, e ha potuto contare sui prestiti messi a disposizione da Intesa Sanpaolo, che insieme a Unicredit ha garantito il famoso bond della Camfin. Poi sono entrati nella trattativa i fondi di Andrea Bonomi e Claudio Sposito trascinandosi appresso Mediobanca e lo studio Pavesi-Gitti. Infine il piacentino Federico Ghizzoni, ad di Unicredit, ha favorito il primo faccia a faccia tra Tronchetti e Malacalza. Chi la spunterà alla fine? Sicuramente non chi pagherà le fatture di banchieri e avvocati. Nella tabella a sinistra, a quanto ammontano i costi delle banche d’affari e degli studi legali per l’operazione che ha coinvolto Fonsai, Premafin e Unipol