Non si muovono lungo ponteggi a grandi altezze dal suolo, ma sono seduti a una scrivania, davanti al monitor di un pc. E i loro strumenti non sono solventi corrosivi, cavi ad alta tensione o macchinari industriali, ma un telefono e una cuffia con auricolare. Sono gli operatori dei call center: una categoria professionale che, in Italia, conta circa 200mila persone (in buona parte donne) e, malgrado le apparenze, un soggetto esposto a non pochi elementi di rischio sul fronte della sicurezza. Elementi più “insidiosi” e nascosti, magari, ma causa lo stesso di forti danni per la salute.
Una norma ad hoc nel rispetto del Testo unico sulla sicurezza. A fornire adesso uno strumento di rilevazione chiara ed esaustiva di questa problematica è il nuovo rapporto tecnico 11450 dell’Uni, Ente nazionale italiano di unificazione, “Valutazione dell’esposizione al rumore nei luoghi di lavoro per lavoratori che utilizzano sorgenti sonore situate in prossimità dell’orecchio”. Il documento, la cui redazione è stata curata dal dipartimento Igiene del lavoro dell’Inail, non soltanto colma un vuoto normativo – estendendo anche al contesto dei call center e armonizzando, in un corpus unico, i tre precedenti metodi di misurazione internazionali (Uni En Iso 11904-1, Uni En Iso 11904-2 ed EtsiEg 202 518 V1.1.1), ma sarà anche la “piattaforma operativa” che porterà all’elaborazione, nella Conferenza Stato Regioni, delle le future linee guida in materia di prevenzione (secondo quanto disposto dall’articolo 198 del dlgs 81/2008, il Testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro).
Troppe persone in uno stesso spazio: alto livello di disagio. “Gli operatori dei call center sono soggetti a forti elementi di rischio, sia dal punto di vista ambientale che per i dispositivi di lavoro utilizzati – afferma Pietro Nataletti, ricercatore dell’Inail e relatore del progetto Uni – Nel primo caso, basta pensare alla grande concentrazione di persone che di solito caratterizza questi luoghi, che possono arrivare a riunire perfino 200 addetti in un unico spazio. Tutto questo comporta condizioni di affollamento, microclimatiche e di illuminazione non adeguate, con un alto livello di disagio”.
Ergonomia carente delle postazioni di lavoro. Aspetto ancora più dolente è quello relativo all’ergonomia delle postazioni. Stipati come api nelle celle di un alveare, decine di ragazzi e ragazze svolgono le loro mansioni su scrivanie di un metro e venti occupate dal pc e delimitate (ma non sempre) da una piccola separazione. Ancora, pur rappresentando per loro un ausilio essenziale, è raro che le sedie siano “a norma” e in grado di consentire la regolazione del peso e dell’altezza di chi le occupa, nonché le distanze che consentono una corretta postura: più probabile, invece, che a una stessa sedia facciano riferimento – a rotazione anche quotidiana, visto l’alto livello di turn over – più persone.
Dal sovraccarico delle corde vocali alle ripercussioni posturali. “Esistono poi i possibili rischi legati a chi, per lavoro, deve ascoltare in cuffia e parlare ai clienti per sette-otto ore al giorno – continua Nataletti – Oltre al sovraccarico per le corde vocali del singolo lavoratore, quando questa mansione viene svolta in contemporanea da tante persone riunite in uno stesso ambiente, l’acustica diventa davvero pessima: una continua interferenza che innesca, come feedback inevitabile, l’innalzamento complessivo del tono di voce e l’elevarsi di un muro sonoro fortemente dannoso. Alla fine della giornata questo circolo vizioso si può tradurre, così, anche in un grande affaticamento dell’udito, per non parlare delle ripercussioni sulla generale postura del corpo, causata dalla non corretta postazione di lavoro, dalla tensione e dallo stress”.
Turni di lavoro pesanti e “obbligo” del massimo rendimento. “Secondo dati di Assocontact (Associazione nazionale dei contact center in outsourcing) – sottolinea una nota dell’Uni – gli addetti ai call center in Italia sono oltre 80mila, impiegati nei servizi all’utenza da parte di banche, assicurazioni, poste, servizi pubblici”. “Ma stiamo parlando di outsorcing – precisa Nataletti – perché se sommiamo la cosiddetta attività “inbound e outbound” si stima che, solo per il settore della telefonia, ci siano più di 200mila addetti. Da qui l’importanza di una norma in grado di coprire un settore in continua espansione”. La maggior parte delle tipologie contrattuali è a progetto (le assunzioni, a tempo determinato e indeterminato, sono la minoranza): una modalità che spinge alla predisposizione di turni di lavoro pesanti, gravate dal condizionamento psicologico della realizzazione del massimo rendimento.
Gli choc sonori delle apparecchiature: un altro elemento di pericolo. Ma non è tutto: i livelli di pressione sonora in cuffia possono essere influenzati da segnali anomali – come impulsi, scariche e disturbi elettrici o risonanze di elevata intensità e imprevedibilità – legati al tipo didispositivo utilizzato (monoauricolare o biauricolare), al modo in cui esso è accoppiato all’orecchio o, ancora, alla possibilità di regolare il volume della conversazione. Tali livelli, citati in letteratura come “choc acustici”, alla lunga, possono danneggiare in modo anche permanente l’apparato muscolo-legamentoso e neurosensoriale dell’orecchio”, valuta Nataletti.
Per 40mila operatori seri pericoli per l’udito. Dati consolidati a livello internazionale – e l’Inail è stato tra i primi soggetti a condurre ricerche e misure sistemati che in questo settore – hanno valutato che il livello medio di esposizione sonora degli operatori dei call center si colloca a cavallo degli 80 decibel ponderati A (dB(A)) al giorno, valore che – secondo la scala disposta dall’articolo 189 del dlgs 81/2008 – è già da considerarsi “a rischio”. Tuttavia, circa il 20% di questi lavoratori sono esposti a valori superiori agli 80 dB(A): 40mila addetti, dunque, che corrono seri pericoli per l’udito. Se la galassia vasta di operatori dei call center che utilizza i dispositivi all’orecchio – dalla telefonia ai servizi, alle utilities – è costantemente in aumento, va sottolineato che il documento Uni riguarda il complesso di tutti i lavoratori che utilizzano sorgenti sonore attive in prossimità dell’orecchio: come i piloti civili e militari che usano cuffie ricetrasmittenti, i disc-jockey o, ancora, gli operatori addetti alle trasmissioni radio.
Una norma essenziale per progettare le strategie di contrasto. Resta adesso il passo definitivo: definire le strategie di prevenzione. “Non siamo entrati ovviamente in quest’ambito, perché avrebbe reso la norma troppo lunga e non omogenea, ma possiamo dire che il panorama tecnico offerto oggi dall’Uni consente una piena ed effettiva valutazione del rischio di tutti i lavoratori esposti al rumore, e questo anche grazie all’impegno dell’Inail – conclude Nataletti – Gli aspetti relativi alla prevenzione saranno elaborati nelle linee guida di prossima emanazione da parte della Conferenza Stato Regioni ed espressamente previste – come quelle inerenti la musica legata all’intrattenimento ed emanate lo scorso luglio – dal Testo unico. Il documento Uni era atteso proprio per procedere in tal senso e la Commissione consultiva permanente ora potrà procedere nella valutazione più opportuna dei dispositivi da adottare tra quelli a disposizione – limitatori di livello sonoro, compressori, dosimetri, ecc. – per consentire un controllo ottimale del rumore ambientale, una corretta amplificazione e, soprattutto, la protezione di questa fascia di lavoratori dagli eccessivi livelli di disturbo acustico”.
Fonte: INAIL