La liquidazione del danno biologico iure hereditario deve essere valutata tenendo conto delle peculiarità del caso concreto: lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza n. 25215 del 29 novembre 2011.
Seguendo un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza, secondo il quale la pretesa risarcitoria deve essere quantificata in relazione all’effettiva vita residua goduta dal de cuius e non già sulla base di un calcolo del tutto astratto dell’aspettativa di vita media (ex multis, Cass. n. 23053 del 28 settembre 2009), gli Ermellini hanno rigettato il ricorso presentato dai parenti di un giovane assistente capo della Polizia di Stato, vittima di un colpo esploso accidentalmente dalla pistola di un collega e confermato la decisione dei giudici di merito, a seguito della quale, in parziale accoglimento del gravame proposto dal ministero dell’interno, era stato ridimensionato l’importo del risarcimento del danno biologico iure hereditatis riconosciuto ai familiari.
Nelle motivazioni, i giudici di legittimità precisano che «la Corte territoriale ha tenuto conto del fatto che tra l’evento lesivo e la morte era intercorso meno di un giorno ed ha fatto applicazione di un criterio equitativo che considerava la peculiarità del caso concreto, mediante la personalizzazione dei criteri tabellari utilizzati per la inabilità temporanea».
A nulla sono valse, in quanto giudicate «mere supposizioni, non suffragate da riscontri oggettivi», le argomentazioni poste a fondamento della domanda di parte attrice: per la Corte d’appello non era stata provata la sussistenza del danno patrimoniale (invocato anche nella componente del lucro cessante per il futuro), dal momento che nulla avrebbe confermato che il ragazzo, pur avendo seguito un corso di orafo, avrebbe continuato l’attività dei genitori: la vittima, essendo in servizio di leva prolungata, avrebbe anche potuto essere inserita definitivamente nell’organico della polizia. La Suprema corte ha, quindi, ritenuto che il giudice di prime cure abbia argomentato in maniera soddisfacente il punto, sostenendo che, nel caso di specie, mancavano presupposti di fatto, sufficientemente provati, sui quali fondare l’aspettativa di un aiuto economico alla famiglia: il ragazzo «riceveva uno stipendio appena sufficiente per il soddisfacimento dei suoi bisogni».