Di Roberto Sommella
L’Italia chiude l’anno con la quarta manovra d’emergenza degli ultimi sei mesi che porta a 140 miliardi l’impatto complessivo delle nuove tasse dal 2010, ma non riesce ancora a vedere sotto quota 450 lo spread Btp-Bund. Anche per questo il governoMonti tira dritto e dichiara al consesso europeo di non aver preparato alcun «piano B» per l’uscita dall’euro.
L’annuncio è stato praticamente ignorato dalle cronache parlamentari di ieri che raccontavano del sì definitivo al decreto salva-Italia da parte del Senato. Mentre appunto i senatori si mettevano in fila per votare la seconda fiducia al professore bocconiano (che ha perso 24 voti a Palazzo Madama ma ha incassato l’ok di Silvio Berlusconi alla sua medicina da lacrime e sangue), nell’altro ramo del Parlamento è andato in scena un dibattito sicuramente più interessante. Protagonisti Rosi Bindi, presidente di turno dell’emiciclo di Montecitorio, Lucio Barani, deputato del nuovo Psi, Gianfranco Polillo sottosegretario all’Economia e un manipolo di eroici parlamentari. Che però, insieme a MF-Milano Finanza, hanno avuto la possibilità di ascoltare una notizia ufficiale che di questi tempi è da sottolineare: l’Italia «non ha pronto nel cassetto alcun piano B per fronteggiare l’implosione dell’euro», ha detto Polillo, rispondendo appunto a un’interpellanza urgente di Barani finalizzata a sapere dal governo se fosse a conoscenza dei piani di uscita dall’euro coltivati dalla Germania e testimoniati da alcuni rumor raccolti da questo giornale come dal Wall Street Journal, dal Der Spiegel e da Rainews.
Certo, il governo non può escludere che qualcuno a Berlino coltivi davvero questa folle idea e, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, Palazzo Chigi è anche in possesso di alcune foto che testimonierebbero questa presunta attività tipografica del paese retto da Frau Merkel. Ma una qualche diffidenza c’è. Bastava aver ascoltato Polillo. «Nonostante l’autorevolezza delle fonti», ha scandito il sottosegretario, «smentisco categoricamente i rumor di una Germania intenta a stampare marchi o a preparare nuovi euro. Sicuramente sarebbe interessante che i tedeschi si ricordassero della solidarietà europea scattata quando hanno riunificato le due Germanie senza svalutare. In Europa nessuno pensa al piano B, tantomeno il nostro ministero dell’Economia. Un eventuale piano B avrebbe conseguenze catastrofiche, si creerebbe uno scompiglio generalizzato in Europa, con rivalutazioni e svalutazioni a catena, come negli anni 70, con ricadute anche sul commercio internazionale. Ma le conseguenze più gravi sarebbero sull’Europa stessa che si troverebbe a fronteggiare una Germania unita e isolata e una Russia forte dal punto di vista energetico e nucleare». Uno scenario di guerra. L’interessante discorso dell’economista Polillo prestato alla politica avrebbe meritato un diverso uditorio perché l’ex funzionario della Camera, che ora riveste un ruolo istituzionale, si è spinto più in là. «È noto che la crisi del ’29 è scoppiata quando negli anni precedenti gli Stati Uniti non sono stati in grado di fronteggiare anche gli oneri e non solo gli onori, dello spostamento dell’egemonia economica dal Vecchio al Nuovo continente. Mi auguro che la Germania non commetta lo stesso errore: se qualcuno pensa di uscire dall’euro commette un passo falso analitico e sistemico».
Passa la manovra, 8 miliardi di consumi in meno. In questo quadro di mancanza di alternative e di grande incertezza sul futuro e sulle scelte che faranno o meno i tedeschi su euro e istituzioni finanziarie come la Bce, acquista maggiore drammaticità l’approvazione della manovra salva-Italia andata in scena invece a Palazzo Madama. Con il voto di fiducia e il via libera definitivo del Senato si è chiuso ieri l’iter del provvedimento che passa ora alla firma del Capo dello Stato. Nessuna modifica, come previsto, rispetto al testo licenziato dalla Camera. In termini di indebitamento, al netto degli effetti indotti la manovra lorda vale 31,2 miliardi nel 2012, 33 miliardi nel 2013 e 34,9 miliardi nel 2014. La correzione netta è invece di 20,2 miliardi nel 2012, 21,3 miliardi nel 2013 e 21,4 miliardi nel 2014. Le risorse vengono per l’85% dalle entrate, che ammontano a 26,6 miliardi nel 2012, mentre le minori spese consistono nel 15%, pari a 4,6 miliardi. Nel 2013 le entrate costituiranno il 79% delle risorse (26 mld) e le minori spese il 21% (6,8 mld), nel 2014 il 74% da entrate (25,8 mld) contro il 26% di riduzione delle spese (9 mld). La litania dei numeri serve a far capire quanto sia necessaria la fase due dello sviluppo, annunciata ieri ufficialmente da Monti: senza di essa, la riduzione dei consumi, stimata in 8 miliardi, non potrà che peggiorare le stime sulla recessione che coinvolgerà l’Italia (il cui spread con il Bund a 10 anni resta inchiodato a 497) e parte dell’Unione europea.
Quattro i capitoli centrali del provvedimento, riprodotti nella grafica pubblicata in pagina: la riforma delle pensioni, che dovrà inevitabilmente subire delle correzioni per rendere meno duro l’impatto del nuovo regime su alcune classi d’età, come i nati nel 1952 e i 61enni; il pacchetto fiscale con il ritorno della tassa sulla prima casa sotto forma di Imu; il capitolo sviluppo con gli sgravi Irap per le imprese e i tagli ai costi della politica e della pubblica amministrazione (tetto agli stipendi dei manager pubblici con le solite deroghe e l’adeguamento alla media europea degli stipendi dei parlamentari), soft come le prime timide liberalizzazioni. Con l’approvazione della manovra, ha spiegato in modo solenne il premier Monti, l’Italia potrà finalmente «affrontare la crisi a testa alta». Si spera che lo possano dire anche a Berlino. (riproduzione riservata)