Sebbene il commercio globale rimanga fortemente legato all’economia statunitense, la Cina, grazie al suo ruolo importante nella produzione globale e al suo ampio mercato interno in crescita, è emersa come nuova superpotenza. In questo contesto, secondo una nuova ricerca di Allianz Trade, le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Cina stanno ridisegnando le catene di fornitura globali e aprendo la strada a nuove potenze commerciali.
Nel suo secondo mandato come presidente degli Stati Uniti, è probabile che Donald Trump aumenti i dazi sulle importazioni strategiche dalla Cina e da altri Paesi (del 25% per la Cina e del 5% per il resto del mondo, escludendo Messico e Canada), riducendo così la crescita nominale del commercio globale di -0,6 punti percentuali nel 2026, poiché la maggior parte delle misure entrerebbe in vigore dalla seconda metà del 2025. La Cina e l’Unione Europea sopporterebbero la maggior parte dei costi, con esportazioni a rischio per 67 miliardi di dollari nel 2025-26, specialmente nei settori dell’industria automobilistica, dei trasporti e dei metalli. Le loro misure di ritorsione potrebbero colpire i settori statunitensi della farmaceutica, dell’automotive, dei metalli, dell’agroalimentare e della meccanica.
“In caso di una guerra commerciale totale (dazi del 60% sulla Cina e del 10% sul resto del mondo, inclusi Messico e Canada), il danno sulla crescita nominale del commercio globale aumenterebbe di 2,4 punti percentuali, e Cina, Messico e Canada sarebbero i più colpiti, con perdite di esportazioni cumulative che raggiungerebbero quasi i 217 miliardi di dollari nel periodo 2025-26. Tuttavia, questo scenario appare improbabile, poiché anche gli Stati Uniti dovrebbero affrontare costi significativi,” dichiara Ana Boata, Responsabile della Ricerca Economica presso Allianz Trade.
L’impatto sul Made in Italy
Prima delle elezioni negli Stati Uniti, si prevedeva che l’export addizionale atteso per il Made in Italy nel 2025-2026 ammontasse a 44 miliardi di dollari. Tuttavia, con la probabile guerra commerciale contenuta che si prospetta, ci si aspetta ora che siano inferiori di 3,3 miliardi di dollari, scendendo a 40,7 miliardi di dollari. In uno scenario estremo di una guerra commerciale su vasta scala, Allianz Trade prevede che l’export addizionale nel 2025-2026 diminuirebbero fino a 33,5 miliardi di dollari, 10,5 miliardi di dollari in meno rispetto alla stima precedente.
Il “godfathering” americano contro la dottrina della “seta” cinese
Il commercio globale è sempre più influenzato dalle agende geoeconomiche concorrenti di Stati Uniti e Cina. Mentre le importazioni statunitensi si sono rese indipendenti dalla Cina, quest’ultima ha esportato maggiormente verso i propri partner geopoliticamente vicini (Russia, Singapore, Vietnam, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita). In tale contesto, il commercio bilaterale tra Paesi geopoliticamente allineati è cresciuto di +2 punti percentuali (620 miliardi di dollari), raggiungendo una quota pari al 60% del commercio globale in soli due anni.
L’allineamento con gli Stati Uniti comporta un costo elevato per l’UE
Sebbene gli Stati Uniti e l’UE abbiano una posizione comune sulle questioni geopolitiche, i loro interessi economici non sono allineati. Ciononostante, quando gli Stati Uniti impongono dazi alla Cina, l’UE tende a fare altrettanto – di solito l’anno successivo – anche se, secondo i calcoli di Allianz Trade, ciò comporta un costo più elevato per quest’ultima. I dazi imposti alla Cina costano agli Stati Uniti 17 miliardi di dollari all’anno (4% delle importazioni cinesi), contro i quasi 38 miliardi di dollari all’anno dell’UE (6,4% delle importazioni cinesi). Inoltre, la stessa UE non è al riparo dalle misure protezionistiche statunitensi ed esiste il rischio che Stati Uniti e/o Cina seguano una strategia divide et impera, sfruttando le divisioni interne all’Europa per perseguire accordi bilaterali che migliorerebbero le proprie posizioni negoziali nei confronti del blocco.
I nuovi hub commerciali stanno emergendo come vincenti, ma rendono più complesse le catene di approvvigionamento globali
Nei prossimi anni, è probabile che il commercio globale cresca al di sotto della sua media di lungo periodo (+3,0% nel 2025 e +3,1% nel 2026). Allo stesso tempo, l’indice di complessità delle catene di approvvigionamento di Allianz Trade mostra che i flussi commerciali globali stanno diventando più intricati, con livelli di complessità raddoppiati dal 2017 e 6 volte più elevati rispetto agli anni della pandemia. In tale contesto, Allianz Trade identifica 25 economie che potrebbero beneficiare del nuovo ordine geoeconomico, data la loro competitività relativamente più elevata rispetto alla Cina nel contesto di una guerra commerciale intensificata da parte degli Stati Uniti.
Scegliere da che parte stare nel nuovo ordine geoeconomico
Osservando gli hub commerciali di nuova generazione e i legami geopolitici, commerciali e di investimenti transfrontalieri che altre grandi economie hanno rispettivamente con gli Stati Uniti e la Cina, Allianz Trade calcola i punteggi della distanza geoeconomica rispetto a entrambi i Paesi. Tali punteggi mostrano che la sfera d’influenza della Cina comprende un maggior numero di hub commerciali di nuova generazione del mondo emergente, mentre la maggioranza del blocco occidentale rimane più vicina agli Stati Uniti.
Non sorprende che il Paese più vicino agli Stati Uniti sia il Regno Unito, seguito da Irlanda e Paesi Bassi, con il Canada al quarto posto e il Messico solo al 28°. La maggior parte delle nazioni africane e asiatiche sono più vicina alla Cina: in media 0,5 contro 0,7 di distanza con gli Stati Uniti per le nazioni africane e 0,4 contro 0,6 di distanza con gli Stati Uniti per le nazioni asiatiche. Ma dopo Hong Kong, il Canada risulta essere la seconda economia più vicina alla Cina, riuscendo a rimanere non lontano da entrambe le superpotenze.