Nonostante una diffusa narrazione che ne vedrebbe una sostanziale riduzione, lo smart working in Italia si consolida. Dopo i picchi della pandemia e una graduale riduzione negli ultimi due anni, nel 2023 i lavoratori da remoto nel nostro Paese si assestano a 3,585 milioni, ben il 541% in più rispetto al pre-Covid e nel 2024 si stima che saranno 3,65 milioni. È quanto rileva il censimento dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano sottolinea come nel corso del 2023 i lavoratori da remoto siano aumentati in modo particolare nelle grandi imprese, dove gli smart worker sono oltre un lavoratore su due (1,88 milioni di persone). In crescita anche nelle Pmi dove sono, attualmente, sono solo circa il 10% della platea potenziale (570mila lavoratori). A calare i lavoratori da remoto nelle microimprese (620mila lavoratori, il 9% del totale) e nelle Pubbliche Amministrazioni (515.000 addetti, il 16%).
Quasi tutte le grandi imprese (96%) prevedono al loro interno iniziative di smart working in larga parte con modelli strutturati, con il 20% delle imprese impegnate a estendere l’applicazione anche a profili tecnici e operativi precedentemente esclusi. Nelle Pmi lo smart working è presente nel 56% delle aziende e viene spesso applicato, invece, con modelli informali gestiti a livello di team; mentre nel pubblico, dove è presente in sei enti su dieci, si tratta di iniziative strutturate ma per lo più limitate alle realtà di maggiori dimensioni.
Non sempre però il lavoro da remoto porta a modelli realmente “smart”. Sono solo i “veri” smart worker, ossia quelli che oltre a lavorare da remoto hanno flessibilità di orari e operano per obiettivi, a presentare livelli di benessere ed engagement più alti dei lavoratori tradizionali in presenza. Questi ultimi hanno livelli migliori rispetto a coloro che lavorano semplicemente da remoto, senza autonomia e responsabilità. I “veri” smart worker, tuttavia, sono più frequentemente vittime di forme di tecnostress e overworking.
Per quanto riguarda il futuro, quasi tutte le grandi imprese prevedono di mantenere lo smart working, solo il 6% si dichiara incerta a tale proposito. Nelle PA c’è invece maggior incertezza: il 20% che non sa come evolverà l’iniziativa, una titubanza che si avverte soprattutto nelle organizzazioni di minore dimensione. Seguono le Pmi: il 19% non sa come o se la propria organizzazione prevedrà lo smart working. Complessivamente, si prevede per il 2024 una crescita del numero dei lavoratori coinvolti, che si stima arriveranno a 3,65 milioni. Accanto allo smart working l’ultimo anno ha visto l’avvio di sperimentazioni di nuove forme di flessibilità sul lavoro, tra cui quella della settimana corta, applicabile anche a profili che non possono oggi fruire del lavoro da remoto, sperimentata da meno di una grande azienda su 10 con esperienze pilota, spesso limitate a brevi periodi. Il 3% delle grandi aziende, invece, ha introdotto le ferie illimitate, il 41% ha eliminato le timbrature. Il 44% sta sperimentando il “Temporary distant working” che prevede di poter lavorare completamente da remoto per alcune settimane o anche per più mesi, continuativamente, in alcuni casi anche dall’estero.