di Carlo Giuro
La previdenza complementare rappresenta sempre più una soluzione di risparmio finalizzato utile sia per integrare il futuro tasso di sostituzione alla luce degli effetti delle numerose riforme che si sono succedute con particolare frequenza a partire dagli anni 90, sia per diversificare il rischio previdenziale e gestire il rischio longevità. In questa prima fase il governo sta affrontando con la legge di Bilancio sul 2023 la proroga delle misure di flessibilità in uscita che scadono a fine anno (Opzione donna, Ape sociale) e l’individuazione, nel caso specifico di Quota 102, di un nuovo canale di pensionamento anticipato con un’attenzione particolare ai vincoli di finanza pubblica. Poi con il nuovo anno, nell’ambito di una riforma di più ampio respiro anche con il confronto con le parti sociali, è auspicabile, e possibile, che venga anche avviata una riflessione per migliorare il livello di inclusione della previdenza complementare. Che in Italia resta ancora limitato dato che sono solo 9,1 milioni di iscritti ai fondi pensione, poco più del 40% della platea di lavoratori italiani, come risulta dall’ultimo report della Covip, l’autorità di vigilanza sui fondi pensione presieduta da Mario Padula.Nelle precedenti legislature era stata ipotizzata, tra le altre possibili misure per aumentare l’adesione, una riproposizione del meccanismo del silenzio assenso sul modello di quello varato nel 2007, accompagnato da campagne istituzionali di educazione previdenziale. Dalla recente Indagine sulle conoscenze finanziarie degli italiani condotta dal comitato Edufin con Doxa emerge che rimane bassa la percentuale di persone con un elevato livello di conoscenza finanziaria (appena il 44,3%), in particolare tra i più giovani (solo il 30,5%). In generale l’analisi rileva un grande divario tra percezione di conoscenza e conoscenze effettive. Sul fronte assicurativo il gap di cultura finanziaria è elevato: ad esempio, conoscono concetti di base quali franchigia e scoperto solo il il 55,2% e il 40,1% del campione. Nel capitolo pensioni, il grado di percezione di conoscenza è maggiore di quello che effettivamente si sa, soprattutto in relazione alla previdenza pubblica, e tale sovrastima è generalmente più alta per gli uomini. La percentuale di coloro che rispondono correttamente alla domanda sul rischio di longevità è molto bassa (intorno al 20%). Con riferimento alla cultura di base sulla previdenza pubblica, a fronte di circa il 57% degli intervistati che dichiara di conoscere il funzionamento del primo pilastro, la percentuale di chi conosce quale sia il regime di calcolo della pensione pubblica per i neoassunti si aggira intorno al 50%, ma si ferma a circa il 43% tra le donne e al 37% tra i giovani di 25-34 anni; tale quota cresce invece con l’età. La percentuale delle risposte corrette scende ulteriormente quando si verifica la conoscenza dei meccanismi di rivalutazione della pensione pubblica (40%). Risposte corrette sono inferiori tra le donne (il 35%) e i giovani tra 24 e 35 anni (il 31%).
Per quanto riguarda il funzionamento della previdenza complementare, si registra una migliore performance. Oltre la metà risponde correttamente e la percentuale sale al crescere dell’età, del titolo di studio e della residenza nelle zone più sviluppate del Paese. Emerge anche una più alta percentuale di conoscenze sulla previdenza complementare tra i lavoratori autonomi rispetto ai dipendenti. Mettendo poi in relazione il possesso di conoscenze effettive sulle nozioni previdenziali e finanziarie con l’adesione alla previdenza complementare emerge una correlazione significativa e positiva tra le due, evidenziando l’importanza di accrescere l’alfabetizzazione attraverso campagne informative mirate.
«L’educazione finanziaria è indispensabile per costruire il futuro collettivo, non solo individuale», sottolinea la direttrice del Comitato Edufin, Annamaria Lusardi, «per questo non sono più sufficienti iniziative frammentate, ma è necessario prevedere programmi su vasta scala per aumentare le conoscenze finanziarie, assicurative e previdenziali degli italiani, con offerte formative specifiche per le fasce più vulnerabili, come giovani e donne. Ed occorre partire con l’educazione finanziaria il più presto possibile». (riproduzione riservata)
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